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Festivalfilosofia: intelligenza artificiale, etica

Festivalfilosofia: intelligenza artificiale, etica

regole, lavoro, democrazia per un mondo che cambia profondamente

ROMA, 23 settembre 2020, 15:09

Redazione ANSA

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- RIPRODUZIONE RISERVATA

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Paolo Petroni Se si parla di ''Macchine'' in senso ovviamente lato, come accade quest'anno al Festivalfilosofia, al centro delle lezioni magistrali c'è oggi ovviamente l'elettronica e inevitabilmente quell' AI - Intelligenza artificiale di cui tanto si parla e ''che sta cambiando il mondo'', come dicono subito Paolo Benanti, frate teologo e grande studioso della gestione delle innovazioni nell'era digitale tra l'America e l'Europa, e Jeffrey Schnapp, esperto di robotica e Ai, docente a Harvard e collaboratore di grandi aziende.
    Tutte le attività - spiegano con una sintonia di fondo - da quelle mediche alla sicurezza nazionale, stanno trasformandosi profondamente grazie alle Ai, dando luogo a sistemi, cobot o robot, completamente autonomi. Le Ai non sono più software programmati che fanno solo quello per cui sono stati realizzati, ma sistemi addestrati, capaci di rispondere autonomamente a un problema che gli viene posto. Ci si interroga allora su quale sia il loro metodo nel prendere decisioni, strettamente legato alla quantità di dati che hanno immagazzinati. Naturalmente non è possibile abbiano tutti, in assoluto, i dati esistenti, abbiano un database perfetto (la perfezione non esiste per definizione) per fra scelte perfette, quindi sono soggetti a errori anche gravi e sarà difficile utilizzarle per molte cose.
    Per Schnapp, per esempio, anche per la guida senza conducente in un centro densamente popolato come una città dalle troppe varianti imprevedibili da una macchina dall'intelligenza senza flessibilità, mentre dovrebbe funzionare bene in autostrada.
    Queste macchine, questi sistemi, che Benanti chiama ''macchine sapiens'', oltre che sui database lavorano sui propri sensori che prendono ovviamente solo porzioni di realtà trasformandole in dati ulteriori. E allora conclude: ''siccome le Ai fondano le loro decisioni sui dati e poiché questi non sono una copia perfetta della realtà la macchina sapiens non sarà ovviamente infallibile e questo appunto rende assolutamente necessario un approccio etico condiviso per evitare si producano azioni e decisioni che possano danneggiare le persone, creare disequilibri a livelli individuali e sociali''.
    Si pone insomma una questione etica legata alla necessità di riuscire a gestire questa straordinaria innovazione con algoritmi legati a principi positivi. Insomma deve nascere una ''algor-etica'', essendo l'Ai cosa differente e che supera il concetto cui sono legati tutti gli artefatti da noi prodotti sino a oggi, che consentono all'uomo di svolgere alcuni compiti meglio e con meno fatica, secondo un unico preciso scopo per cui erano stati progettati.
    Il pericolo, davanti a simili innovazioni progettate con algoritmi complessissimi e sempre più difficili da decifrare, è che si nutra una tecnofobia deleteria, contro cui prende posizione Roberto Esposito. Allora appare interessante la visione diciamo ottimistica di un filosofocome Maurizio Feraris, docente di filosofia teoretica Torino, di fronte al pessimismo delle visioni del mondo tecnologico professato e ribadito da Umberto Galimberti. Ferraris contrappone l'anima, l'essere vivente, alla macchina. Il primo conosce solo un On e Off definitivi, mentre la seconda può averne infiniti, ma sempre legati all'imput che viene dall'uomo. Temiamo le macchine ci portino via il lavoro: è vero per Ferraris e sempre di più, ma per liberarci da fatica e noia visto che noi oramai non siamo più produttori di oggetti (che le macchine fanno prima e meglio) ma di informazioni, di un numero incommensurabile di documenti di cui si nutre il sistema digitale mondiale oggi, e le prende sempre, anche se dormiamo o abbiamo acceso in casa un qualche accessorio domotico, dandoci in cambio poche informazioni che chiediamo. Si tratta del nostro nuovo impegno, del nostro nuovo lavoro di produttori che non viene pagato ma solo sfruttato e per cambiare le cose ci si deve impegnare per far riconoscere, visto che tra l'altro con questo formiamo anche strumenti all' Ai per migliorarsi e imparare.
    Tutto questo inserendolo nel discorso che fa Francesca Bria, presidente del Fondo Nazionale Innovazione e ex assessore a Barcellona per l'innovazione digitale, che parla della necessità di una nuova democrazia digitale, ''che può partire solo dalle città, ovvero dai cittadini stessi.Una sfida ardua ma possible, solo però appunto partendo dal basso con modelli pratici e sostenibili. I dati devono essere percepiti come un bene comune, come un'infrastruttura pubblica. La città intelligente e democratica si realizza solo con la partecipazione di chi la abita e agisce''.
   

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