(dell'inviato Fausto Gasparroni)
(ANSA) - PRESOV-KOSICE (SLOVACCHIA), 14 SET - Per il Papa, la
croce non va mai ridotta "a un simbolo politico", né a "una
bandiera da innalzare", e chi "ricerca i propri vantaggi per poi
mostrarsi devoto" manifesta "una religione della doppiezza, non
la testimonianza di Dio crocifisso". Poi davanti alla maggiore
comunità Rom della Slovacchia Francesco proclama che la Chiesa
"è casa vostra" e "nessuno vi tenga fuori": e intanto, con i
membri dell'etnia nomade, troppo spesso "oggetto di preconcetti
e di giudizi impietosi, di stereotipi discriminatori, di parole
e gesti diffamatori", bisogna passare "dalle chiusure
all'integrazione".
E' il doppio affondo, contro gli arroccamenti in chiave
sovranista e contro l'uso strumentale dei simboli religiosi, che
papa Bergoglio lancia in questa sua terza giornata in
Slovacchia, in cui lascia la capitale Bratislava per fare tappa
a Presov e a Kosice, rispettivamente la terza e la seconda città
del Paese, entrambe all'estremo est. A Presov, sede di
un'arcieparchia per i cattolici di rito bizantino, la mattina
presiede nell'affollata spianata del Palazzetto dello Sport
(davanti a 40 mila persone) la divina liturgia di rito bizantino
di San Giovanni Crisostomo. A Kosice, nel pomeriggio, incontra
la comunità Rom nel quartiere-ghetto Lunik IX - nella città vive
la più alta densità di popolazione Rom in Slovacchia - e quindi
i giovani nello Stadio Lokomotiva, prima del volo di ritorno a
Bratislava.
"Non riduciamo la croce a un oggetto di devozione, tanto meno
a un simbolo politico, a un segno di rilevanza religiosa e
sociale", avverte il Pontefice nel rito bizantino a Presov, con
un forte richiamo - proprio nella festa dell'Esaltazione della
Croce - contro ogni manipolazione a fini puramente identitari o,
peggio, divisivi, specie in ambito politico. "Non si contano i
crocifissi: al collo, in casa, in macchina, in tasca - spiega -.
Ma non serve se non ci fermiamo a guardare il Crocifisso e non
gli apriamo il cuore, se non ci lasciamo stupire dalle sue
piaghe aperte per noi, se il cuore non si gonfia di commozione e
non piangiamo davanti al Dio ferito d'amore per noi". "Se non
facciamo così, la croce rimane un libro non letto, di cui si
conoscono bene il titolo e l'autore, ma che non incide nella
vita".
Il Papa annota che nel tempo attuale, e a differenza che in
passato, "qui, grazie a Dio, non c'è chi perseguita i cristiani
come in troppe altre parti del mondo". "Ma la testimonianza può
essere inficiata dalla mondanità e dalla mediocrità - ammonisce
-. La croce esige invece una testimonianza limpida. Perché la
croce non vuol essere una bandiera da innalzare, ma la sorgente
pura di un modo nuovo di vivere: quello del Vangelo, quello
delle Beatitudini". "Il testimone che ha la croce nel cuore e
non soltanto al collo non vede nessuno come nemico, ma tutti
come fratelli e sorelle", prosegue. "Il testimone della croce
non usa le vie dell'inganno e della potenza mondana: non vuole
imporre sé stesso e i suoi, ma dare la propria vita per gli
altri", dice ancora. "Non ricerca i propri vantaggi per poi
mostrarsi devoto - aggiunge -: questa sarebbe una religione
della doppiezza, non la testimonianza del Dio crocifisso".
L'incontro con la comunità Rom a Kosice si inserisce nella
via aperta da Paolo VI con la visita al campo nomadi di Pomezia
del 26 settembre 1965, peraltro ricordata da una delle
testimonianze. E Francesco non è da meno: "Nessuno nella Chiesa
deve sentirsi fuori posto o messo da parte", afferma. "Sì, la
Chiesa è casa, è casa vostra. Perciò - vorrei dirvi con il cuore
- siete benvenuti, sentitevi sempre di casa nella Chiesa e non
abbiate mai paura di abitarci. Nessuno tenga fuori voi o qualcun
altro dalla Chiesa!", aggiunge il Pontefice. "Non è facile
andare oltre i pregiudizi, anche tra i cristiani - ammette
Francesco -. Non è semplice apprezzare gli altri, spesso si
vedono in essi degli ostacoli o degli avversari e si esprimono
giudizi senza conoscere i loro volti e le loro storie".
"Cari fratelli e sorelle, troppe volte siete stati oggetto di
preconcetti e di giudizi impietosi, di stereotipi
discriminatori, di parole e gesti diffamatori. Con ciò tutti
siamo divenuti più poveri, poveri di umanità. Quello che ci
serve per recuperare dignità è passare dai pregiudizi al
dialogo, dalle chiusure all'integrazione", sottolinea. "Giudizi
e pregiudizi aumentano solo le distanze - conclude -. Contrasti
e parole forti non aiutano. Ghettizzare le persone non risolve
nulla. Quando si alimenta la chiusura prima o poi divampa la
rabbia. La via per una convivenza pacifica è l'integrazione".
(ANSA).