(ANSA) - CITTÀ DEL VATICANO, 20 AGO - "Oggi, abbiamo con
tristezza dovuto riconoscere il fallimento di non aver capito il
Paese, l'Afghanistan, dove siamo stati per venti anni. È
necessario non abbandonarlo. Non possiamo andarcene e gettare la
spugna. L'Afghanistan resta sempre un Paese che è parte della
famiglia dei popoli. Semmai iniziamo a comprenderlo meglio. Da
subito. Non domani, oggi". Lo afferma l'arcivescovo Vincenzo
Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, in un
articolo su Settimana News.
"Dovremmo aver appreso - sottolinea monsignor Paglia - che la
democrazia non si esporta con le armi. Come è possibile pensare
ancora che la politica estera del mondo occidentale non può
esportare in altri paesi e contesti culturali i valori della
democrazia, come se fossero prodotti da vendere o peggio da
imporre".
"Sarebbe triste se ora abbandonassimo l'Afghanistan a se
stesso o, peggio, farlo diventare un nuovo 'nemico' - prosegue
-. Credo invece che bisogna muoversi rapidamente per guadagnare
il ritardo e il discredito accumulato in così pochi giorni.
Quelle immagini terrificanti da Kabul devono smuovere le nostre
coscienze: sul campo è necessario dare la possibilità di
lasciare il paese a chi lo desidera, a chi ha paura".
"E vanno lasciati entrare in Occidente - aggiunge il presule
-, quegli afghani e quelle afghane che lo desiderano, mettendo
da parte la burocrazia e con uno spirito di accoglienza e
disponibilità davvero senza frontiere. Le esperienze le abbiamo
già: i corridoi umanitari sperimentati in questi anni con
successo, ad esempio da Sant'Egidio, dicono che è possibile". "È
necessario farlo e farlo subito - dice -. Così si potrà
recuperare una credibilità perduta. La decisione di non
abbandonare nessuno è tra quelle che vanno prese senza
esitazione".
Per mons. Paglia, in ogni caso, "le grandi tradizioni
culturali dell'area asiatica non dobbiamo più giudicarle con
parametri occidentali; vanno comprese più in profondità". E "di
fronte a quanto è accaduto in Afghanistan - assieme alle scelte
più specifiche per il Paese e l'area geopolitica circostante - è
indispensabile rafforzare la visione di una 'fraternità
universale'".
"Questa visione permette di correggere più facilmente gli
errori fatti e rafforzare una intelligenza politica attraverso
gli incontri tra le parti. Da questi incontri sgorgherà una
prospettiva nuova - conclude -. La 'rivoluzione' nel mondo
globalizzato non può non passare per la via della 'fraternità',
dell'incontro, del dialogo, del rispetto. Non ci si salva da
soli! È vero per il Covid-19. Sarà vero anche per le scelte
politiche nell'intero pianeta". (ANSA).