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Tokyo: I Giochi delle donne, a Olimpia la parità è già realtà

Numeri record, tante portabandiera: l'edizione più progressista

dell'inviato Francesco Grant ROMA

Stamàta Revithi ha vinto la sua maratona, 125 anni dopo. Era l'unica donna a sfidare il divieto di partecipazione ai Giochi ad Atene 1896 imposto da De Coubertin e fu fermata all'ingresso dello stadio olimpico prima di concludere i 42 chilometri.

Oggi il suo oro è quello di tutte le atlete che hanno gareggiato alle Olimpiadi e di quelle che a Tokyo 2020 tagliano uno storico traguardo: la parita' con i loro colleghi uomini, se non addirittura in qualche caso il sorpasso.

Sa di rivincita un'Olimpiade donna, nel Giappone in cui per sessismo si sono dovuti dimettere il presidente del comitato organizzatore, Yoshiro Mori, e il primo direttore creativo della cerimonia.

Ma lo ha detto anche un mostro sacro dello sport mondiale, Pelè, facendo i complimenti alla 10 brasiliana Marta per essere divenuta l'unica calciatrice ad aver segnato in 5 edizioni olimpiche. "Con i tuoi piedi costruisci un mondo migliore, ispirando le donne a conquistare lo spazio del quale hanno diritto".

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Il Cio ha chiesto e ottenuto da molti Paesi che all'apertura sfilino una coppia di portabandiera, in nome dell'equità di genere in un'edizione che si preannuncia come un'Olimpiade al femminile a cominciare dai numeri. La marcia è lunga, il traguardo più vicino di quel che potesse immaginare Stamàta: così l'Italia con Jessica Rossi-Elia Viviani, ma anche gli Stati Uniti, la Cina, il Brasile, e poi Iran, Algeria, Marocco hanno aderito alla scelta di parità durante la sfilata.

In attesa dell'ufficializzazione della lista, sono pochi i paesi rimasti con un solo portabandiera (l'Oman, ad esempio) e tra quanti lo hanno fatto molti hanno un'alfiere donna.

Da Simon Biles, campionessa della ginnastica Usa, a Masomah Ali Zada, rifugiata afgana alla quale a Kabul rompevano la bici perchè non uscisse di casa, l'alfabeto al femminile è un caleidoscopio di storie di lotta e conquista.

Fuori dal circolo olimpico, la sfida per il professionismo in Italia o per l''equal pay' del soccer Usa e del tennis è ancora apertissima. Ma dentro i cinque cerchi i numeri dicono che i Giochi sono sostantivo di genere plurale e femminile.

L'edizione che apre domani infatti segna un sorpasso dei numeri in molti casi, e un riequilibrio in generale. Sugli 11.283 atleti partecipanti, 5.396 sono donne e 5.887 uomini, con una percentuale di 48 a 52. E' il frutto delle quote imposte dal Cio, certo, ma visto che in molte discipline per qualificarsi servono i tempi, è anche il risultato di una crescita generale, e in alcune nazioni di vera e propria emancipazione. Ancora piu' avanti è il canottaggio, dove una donna dà il tempo agli uomini: Tokyo è la prima Olimpiade in cui non ci sono restrizioni di genere sessuale per i timonieri degli equipaggi a otto, e l'olandese Eline Berger determinerà la vogata del suo equipaggio maschile.

Va da sè che la (quasi) parità numerica non è automaticamente uguaglianza. E se il dato si scorpora nazione per nazione, emerge una sorta di mappa geopolitica della parità di genere. L'Italia team, ad esempio, si era attestato sulla perfetta parità, poi la qualificazione last minute del basket ha fissato i numeri a 384, col 48% di donne, in linea con il dato generale.

La Gran Bretagna per la prima volta in 125 anni di partecipazioni presenterà una squadra con più donne (molte di più: 201) che uomini (175), e lo stesso vale per il Team Usa (329 a 248). Scontato appare il sorpasso in nazioni come la Svezia (76 a 60), ma il mondo non cammina tutto alla stessa velocità: l'Afghanistan ha 4 atleti e una sola donna, l'Arabia Saudita due atlete su una rappresentativa di 33, l'Iran fa un po' di più, con 10 donne su 66 atleti. Senza dimenticare che ogni numero è una storia. Come quella di Alex Morgan, stella del soccer Usa. Ha scelto di avere un figlio mettendo a rischio la sua partecipazione ai Giochi, il rinvio le ha riaperto le porte ma ha dovuto lottare per ottenere dal Cio, per lei e tutte le altre, il permesso di portare il figlio da allattare, anche se solo in un albergo fuori dalla bolla e con finestre di poche ore al giorno. La sua battaglia non è così lontana dalle atlete musulmane che salgono sul tatami col velo o gareggiano in spiaggia col burqini. Tutte, idealmente, col poster di Stamàta Revithi in camera al villaggio olimpico.
   

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