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Bielorussia: arresti minoranza polacca, chiesto rilascio

Risoluzione deputati, protesta anche premier Morawiecki

31 marzo, 21:08
(ANSA) - VARSAVIA, 31 MAR - Proteste e richieste di rilascio da parte dei deputati del parlamento polacco e del premier Mateusz Morawiecki arrivano dopo gli arresti dei giorni scorsi ai danni i cinque esponenti della minoranza polacca - circa 300 mila persone - che vive in Bielorussia. La Camera dei deputati (il Sejm, ndr) della Repubblica di Polonia chiede, in una risoluzione approvata per acclamazione, il "rilascio il prima possibile e la cessazione di tutte le repressioni contro di loro" nei confronti dei cinque rappresentanti della minoranza polacca arrestati nei giorni scorsi in Bielorussia, e invita "la comunità internazionale a reagire in modo solidale e con fermezza alle azioni illegali delle autorità bielorusse".

Gli arresti e le perquisizioni nei confronti dei rappresentanti dell'Unione dei polacchi in Bielorussia (Zpb) - che si occupa di coltivare la cultura e la tradizione polacca, sostenendone l'istruzione e l'apprendimento della lingua - sono avvenuti nei giorni scorsi, a ridosso della Giornata della Libertà celebrata il 25 marzo dall'opposizione, festività non riconosciuta dal governo di Lukashenko: a finire in cella sono stati la presidente Andzelika Borys, il componente del direttivo e giornalista, Andrzej Poczobut, e le attiviste Irena Biernacka e Maria Tiszkowska, responsabili delle sedi di Lida e Vawkavysk dell'associazione. La Borys è stata condannata a 15 giorni di carcere. Lo scorso 13 marzo invece è stata arrestata la direttrice della Scuola Polacca di Brest, Anna Paniszewa.

Sulla vicenda era intervenuto anche il premier polacco Mateusz Morawiecki, chiedendo "alle autorità bielorusse di risolvere i loro problemi interni in pace, senza prendere ostaggi. È così che intendo l'ultimo attacco alla comunità polacca in Bielorussia".

La Polonia è la frontiera orientale dell'Europa, così come in passato è stata il baluardo del Cristianesimo inteso proprio nel senso di espressione della civiltà europea. Nel 1683 fu il re polacco Jan Sobieski, unico ad avere ancora un esercito potente, ad accorrere a impedire la caduta di Vienna e il crollo del sistema europeo sotto la pressione delle armate ottomane. Un secolo dopo la Polonia viene ripagata con le tre spartizioni da parte di Austria, Prussia e Russia, sottoposta a snazionalizzazione forzata e a deportazioni della popolazione ogni volta che si sollevava.

La Polonia rinasce dopo 123 anni, dai fuochi della prima guerra mondiale che l'ha vista campo di battaglia e con i suoi figli in tutti gli eserciti belligeranti, e Jozef Pilsudski ridà un corpo statale all'anima e al sentimento nazionale. La Polonia non può più essere quella delle ultime frontiere legali del 18/o secolo, perché la storia non si è fermata anche se i polacchi sono rimasti nelle terre da loro sempre abitate. L'oriente polacco, sancito dalla vittoriosa guerra contro i bolscevichi e dal Trattato di Riga del 1921, era una delle culle dell'identità nazionale, ma veniva considerato da Stalin come Bielorussia e Ucraina occidentali. Eppure qui si trovavano le città di Grodno, terza capitale del regno polacco sotto Jan III, e Leopoli, la semper fidelis (alla Polonia, ovviamente). Il 17 settembre 1939, in ossequio al protocollo segreto del Patto Ribbentrop-Molotov, Stalin invadeva la Polonia e inglobava la sua metà, con un referendum farsa sotto controllo dell'Armata Rossa e con diritto di voto esteso ai militari sovietici. L'attacco tedesco rimescolava le carte, con i polacchi non deportati o non uccisi da comunisti e nazisti rimasti abbarbicati alla loro terra martoriata. A Yalta le potenze occidentali, che pure erano entrate in guerra per garantire l'indipendenza e l'integrità della Polonia, ne consegnavano la parte orientale a Stalin, che l'inglobava nell'Unione Sovietica.

La caduta del muro di Berlino nel 1989, la dissoluzione del sistema sovietico prima nella Comunità degli stati indipendenti e poi in nuove realtà nazionali, lasciavano in Bielorussia una minoranza polacca soprattutto attorno alle città storiche di Grodno e di Brest. In un Paese in cui la lingua bielorussa è parlata da meno di un quarto della popolazione (23%, il resto utilizza russo), i polacchi hanno difeso storia, cultura, lingua e identità. Ma la Bielorussia è anche il Paese della falsa democrazia di Lukashenko, al potere dal 1994, autocrate di scuola sovietica (ha conservato persino la bandiera disegnata dall'Urss), allergico alle espressioni democratiche della minoranza. Con scarsa eco sui media occidentali, semplicemente rimuoveva gli eletti polacchi al parlamento se non in linea con la sua politica, interferendo sistematicamente con la scuola, la formazione, lo scoutismo, le forme di espressione dalla letteratura al giornalismo. Da Minsk nessuna forma di dissenso è tollerata, mentre l'Europa sembra invece sin troppo tollerante con le impennate di autoritarismo e con il ricorso ad arresti che sarebbero considerati arbitrari e intollerabili in qualsiasi Stato di diritto. È la stessa Unione firmataria del Partenariato orientale del 2009, che ritiene la Bielorussia un partner affidabile da attrarre in un'orbita democratica, incompatibile però con le vessazioni alla minoranza polacca, da passare quindi sotto silenzio. (ANSA).

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