"Prima ci sono due nodi strutturali
da risolvere: l'assegnazione delle quote gratuite di emissione
di Co2 e le percentuali di idrogeno per far funzionare gli
impianti Dri. Sono entrambi nodi europei, senza la soluzione dei
quali secondo me il piano industriale non si può fare. Saranno
gli elementi che chiunque dovrà affrontare nel momento in cui
decidesse di fare un investimento sull'Ilva di Taranto". Antonio
Gozzi, presidente di Federacciai e special advisor Confindustria
su Autonomia strategica europea, Piano Mattei e competitività
commenta così, parlando a margine dell'incontro in Confidustria
Genova su "Nuove infrastrutture per nuovi servizi di mobilità"
l'annuncio da parte del ministro Urso di un quarto interessato
per Acciaierie d'Italia, che viene da un Paese del G7, oltre a
alle due imprese indiane e gli ucraini di Metinvest. "Il primo
nodo - spiega Gozzi - è che bisogna sapere se verrà confermata
la regola secondo cui al 2030 gli altiforni europei non avranno
più quote gratuite di emissione di Co2. Perché questo
significherà che non esisteranno più altiforni a Taranto, quindi
non si potrà rimettere a posto l'altoforno 5 che costa 650
milioni, perché non ha senso finire lavori così costosi nel 2028
e nel 2032 chiudere perché non si hanno quote gratuite di Co2".
Il secondo nodo riguarda gli impianti Dri, quelli che
consentono di fare l'acciaio liquido con il forno elettrici.
"C'è una lettera della Vestager (il commissario europeo per la
concorrenza, ndr) abbastanza incredibile, perché rivolta
soltanto all'Italia, che, mentre prima si prevedeva di poter
utilizzare nel Dri fino al 10% di idrogeno miscelato al gas,
dice che bisogna mettere il 40% di idrogeno nei primi tre anni
e il 70% a partire dal quarto. Facendo un po' di calcoli,
secondo me non c'è in questo momento in tutta Europa, non in
Italia, una produzione che consenta di coprire questo
fabbisogno".
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