Giovanni Toti, ai domiciliari per
corruzione dal 7 maggio, "si è reso conto della prospettazione
accusatoria e, pur ritenendo di avere sempre agito
nell'interesse pubblico, si è reso conto della necessità di
adeguare futuri comportamenti alla stessa".
E' quanto scrive l'avvocato Stefano Savi nel ricorso al
tribunale del Riesame contro l'ordinanza del giudice che ha
detto no alla revoca della misura. "La sua volontà di non
violare divieti e di non tenere comportamenti anche solo
astrattamente" penali "lo farà astenere dal proseguire con
modalità che, la diversa lettura data dall'accusa, considera
illecite o comunque non dovute", ovvero non chiederà più fondi
ai privati per le campagne elettorali e per iniziative del
partito.
Per il legale non ci sono più le esigenze cautelari perché
non ci sono elezioni imminenti. Ma, soprattutto, "anche laddove
fossero individuabili o individuate eventuali occasioni per la
richiesta di finanziamenti, ovvero situazioni di stallo o di
conflitto da risolvere nell'ottica dell'interesse pubblico, è da
escludere che Toti possa nuovamente, con immutato approccio,
interessarsi di tali vicende o, semplicemente, chiedere a
privati dei finanziamenti". "Alla luce dei progressi fatti dalle
indagini, con i nuovi testimoni auditi dai pm, oltre che dalla
imponente mole di materiale probatorio raccolto - spiega il
legale - e alla luce altresì dell'interrogatorio dello stesso
Toti, della consapevolezza di quanto contestato come reato,
della pubblicità dell'inchiesta stessa, della assenza di
imminenti tornate elettorali, riteniamo che non sussistano più
le necessità degli arresti domiciliari". "Questo anche tenuto
conto della necessità di bilanciare le esigenze processuali -
continua Savi - con quelle del mandato popolare, ritenuto
meritevole di tutela dalla legislazione vigente e dalla
Costituzione. In subordine alla totale revoca della misura, la
sua trasformazione in una misura meno afflittiva e compatibile
con le valutazioni politiche necessarie al momento".
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