A provocare il crollo del ponte
Morandi (14 agosto 2018, 43 vittime) è stata la corrosione dei
cavi primari a causa di un "difetto di costruzione occulto"
sull'antenna della pila 9. L'opera era sottoposta a controlli
visivi ed altre indagini diagnostiche che tuttavia "non erano in
grado di evidenziare la presenza del difetto" che era
"evidentemente noto ai costruttori " che tuttavia non ne
lasciarono "alcuna traccia nella documentazione successiva che,
al contrario, confermava una corretta realizzazione dell'opera".
Sono queste le conclusioni dei consulenti tecnici nominati dai
16 imputati, ex dirigenti e tecnici di Spea, la controllata di
Autostrade per l'Italia che aveva il compito di eseguire le
ispezioni e i controlli sul viadotto Polcevera. Il documento,
elaborato da dodici consulenti di parte e lungo 645 pagine, è
stato depositato nei giorni scorsi e sarà la base dell'esame
degli stessi consulenti che si svolgerà in aula, nel processo in
corso per il crollo del viadotto, a partire dall'8 aprile. Al di
là del difetto, che gli imputati (che con vari ruoli dovevano
occuparsi della sorveglianza del viadotto) "non potevano
conoscere - dicono i consulenti - la conoscenza delle condizioni
dell'opera era adeguata e dalla raccolta e confronto di tutte le
informazioni disponibili non emergeva, né poteva emergere alcun
allarme sullo stato dell'opera". "La scoperta del difetto che ha
innescato la corrosione nel reperto 132 è avvenuta solo a
seguito di attività di sezionamento di parti della struttura
durata diversi mesi" hanno ricordato i consulenti che hanno
partecipato con i periti all'incidente probatorio e che parlano
di una vera e propria "autopsia del ponte" che secondo i
consulenti di parte nessuna indagine diagnostica avrebbe potuto
rilevare mentre il Morandi era ancora in piedi.
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