Assente dalle scene genovesi da
sessant'anni, è tornata ieri sera al teatro Carlo Felice
"Beatrice di Tenda", penultimo titolo nella non fitta produzione
di Bellini, dopo "Norma" e prima di "Puritani", lontana da
entrambe per esito artistico.
Scritta su libretto di Felice Romani, "Beatrice di Tenda" non
appartiene in effetti al miglior Bellini che alle prese con una
drammaturgia estremamente statica ha costruito una partitura
contrassegnata da solido mestiere, ma priva di quelle intuizioni
geniali che si ritrovano nei suoi capolavori. Il primo atto
scorre senza scosse particolari, il secondo si riabilita grazie
alla grande scena del processo e allo scontro fra le due donne,
interrotto dallo splendido canto fuori scena di Orombello che
anticipa chiaramente l'analogo slancio lirico di Manrico nel
"Miserere" del "Trovatore".
L'allestimento visto ieri è una coproduzione fra Genova e la
Fenice di Venezia. La scena di Emanuele Sinisi propone un
castello diroccato, con le mura squarciate, simbolo, ha spiegato
il regista Italo Nunziata, di un decadimento ineluttabile della
corte dove tutto è ormai segnato già dall'apertura del sipario.
Una soluzione comprensibile ma che ha accentuato il senso di
staticità dell'opera anche perché il lavoro della regia si è
limitato a coordinare entrate e uscite dei personaggi senza
particolari "guizzi". Sul podio Riccardo Minasi ha diretto con
il consueto vigore, a tratti esasperando forse eccessivamente i
volumi con qualche squilibrio con il palcoscenico, anche sul
piano ritmico, ad esempio, nel primo atto, in alcuni crescendo
corali. Lodevole il cast dominato da Angela Meade, un soprano
dalla voce straordinariamente elegante e duttile. Accanto a lei
Carmela Remigio è stata una irreprensibile Agnese; Mattia
Olivieri ha restituito con passione la figura di Filippo,
Francesco Demuro ha vestito con generosità i panni di Orombello.
Applausi finali calorosi qualche piccolo dissenso per i
firmatari della parte visiva. Prima replica domani, ore 15.
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