"Io vivo da 30 anni qui, ho messo
su una famiglia. Ma alla procura e alla Questura questa cosa non
è andata giù. Così come quando Rosy Bindi ha chiesto come mai un
albanese gestisce lo stadio di Genova, ho pensato: 'Ma i
razzisti non sono di destra?'". Lo ha detto in aula Artur
Marashi, uno dei principali imputati nel processo agli ultrà del
Genova accusati di avere estorto al club soldi in cambio della
cosiddetta 'pace del tifo'. Marashi ha reso spontanee
dichiarazioni nel corso delle quali ha spiegato di essere "un
mediatore e pacificatore" e "un tifoso normale, non un ultras"
che "tra i tafferugli in strada e gli striscioni di
contestazioni a Preziosi preferisce gli striscioni".
Prima di lui ha parlato un altro tifoso Paolo Taccone che a
un certo punto ha mostrato ai giudici anche le magliette e le
sciarpe "autoprodotte dal Gav (Gruppo Andrea Verrina, ndr) e non
merchandising ufficiale. E' tutto materiale che è servito anche
a finanziare aiuti umanitari al popolo palestinese o da mandare
in Yemen - ha detto Taccone - perché noi siamo di sinistra e non
mi piace essere accostato all'altra sponda politica". Il tifoso
ha anche sottolineato "di non avere mai alzato le mani su
nessuno". Fabrizio Fileni, detto Tombolone, ha invece depositato
una memoria scritta. "Non ho mai minacciato nessuno - si legge -
ed escludo un mio interessamento a secondi fini se non quello
legato ai risultati del Genoa, né mai ho preso soldi o ottenuto
alcun beneficio. Ho sempre contestato Preziosi per il suo
operato". Massimo Leopizzi, storico capo ultrà, avrebbe dovuto
parlare oggi ma le sue dichiarazioni sono slittate al prossimo
13 marzo. I pm Francesca Rombolà e Giancarlo Vona hanno
depositato una memoria per spiegare che il Genoa ha ricevuto e
pagato negli anni alla società di steward dello stadio, 4 Any
job (secondo l'accusa gestita da Leopizzi e Marashi), centinaia
di migliaia di euro in più rispetto alla Sampdoria a fronte
delle stesse prestazioni.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA