I cavi primari della pila 9 del ponte Morandi, quella crollata il 14 agosto 2018 causando la morte di 43 persone, "non sono mai stati controllati". E' quanto hanno detto i periti, che per il giudice per le indagini preliminari avevano scritto la perizia sulle cause del collasso, all'udienza di oggi del processo.
"Se nel 1990-92 trovo il degrado in alcuni cavi della pila 11 e poi lo trovo nella pila 10, per puro buonsenso bisognava andare a fare le ispezioni anche sulla pila 9. Bisognava fare ispezioni con i carotaggi, fare scassi importanti per vedere i cavi primari perché le indagini riflettometriche e anche i monitoraggi dinamici non bastavano".
Il Morandi, hanno continuato gli esperti, "era un'opera senza ridondanza (cioè senza una pluralità di elementi di sicurezza, ndr) per cui la corrosione non la puoi controllare ma devi intervenire come fatto nella pila 11 con i cavi esterni o nella 10 con le placche metalliche".
L'allarme sul difetto di iniezione dei cavi era stato già lanciato da Spea nel 1985, quando diceva di andare a controllare, appunto, lo stato dei cavi primari.
A processo sono 58 le persone imputate tra ex dirigenti e tecnici di Aspi e Spea (la controllata che si occupava dei controlli e manutenzioni), dirigenti del ministero delle Infrastrutture e del Provveditorato.
L'udienza è iniziata con l'esame del perito Stefano Tubaro che ha illustrato il lavoro fatto sul video di Ferrometal, quello che ha ripreso il momento del crollo. L'esperto ha di nuovo escluso che a causare il crollo possa essere stata la bobina trasportata da un camion in transito. "Il carico è sempre rimasto al suo posto, il tir non ha mai perso la bobina", ha detto Tubaro.
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