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Acquacoltura a Imperia, pronti 2,5 mln

Acquacoltura a Imperia, pronti 2,5 mln

Società Aqua assume. Timori residenti. Sindaco fa il punto

GENOVA, 18 febbraio 2020, 15:43

Redazione ANSA

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- RIPRODUZIONE RISERVATA

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Dopo avere avviato 20 anni fa davanti a Lavagna un impianto di maricoltura con l'allevamento di orate e branzini e strutture a terra per confezionare i prodotti, occupando una ventina di persone, la società Aqua raddoppia la presenza in Liguria con un impianto a Imperia. E' previsto un investimento di 2,5 milioni nei primi due anni per l'avvio della produzione nelle vasche e l'assunzione a breve di 6-8 persone, sub professionisti con brevetto Ots e pescatori professionisti.
    A regime, con gli spazi a terra per preparazione e confezionamento, gli assunti salirebbero a 18-20.
    Il piano industriale è stato criticato da alcuni residenti che hanno chiesto al Comune di ritirare la concessione. Secondo un comitato che sta raccogliendo firme sul web c'è il pericolo di inquinamento delle acque vicino alle spiagge e il rischio di deturpare il paesaggio marino. Il sindaco Claudio Scajola ha convocato per il 28 febbraio un tavolo di confronto con tutti gli enti coinvolti.
   "Abbiamo una esperienza ventennale - dice il presidente di Aqua Davide Orsi -. A Lavagna produciamo 400 tonnellate l'anno di pesce di alta qualità, riconosciuta dalle aziende della grande distribuzione con cui è in vigore il patto di qualità basato su un rigido disciplinare. Il prodotto è sui banchi con il marchio per garantire trasparenza. La qualità è data dai fondali elevati e dalla corrente, che garantiscono ricambio d'acqua continuo, alta ossigenazione e movimento ai pesci. A Imperia vogliamo mantenere gli stessi standard". Riguardo al rischio di inquinamento di acque e fondali, Orsi spiega: "Per i fattori indicati prima, il nostro impianto non inquina. Il pesce non si ammala e non c'è bisogno di usare antibiotici. Da 20 anni l'impianto di Lavagna viene esaminato da esperti: Università, Arpal e Osservatorio Ligure Pesca e Ambiente". Gli ecologisti contestano la compatibilità ambientale degli allevamenti: "il controllo finale - spiega Orsi - lo fa la Asl, che verifica anche i mangimi, composti solo per il 25% da farina animale e per il 75% da farine vegetali. La Fao e la Ue scommettono sullo sviluppo degli allevamenti, anche a tutela del patrimonio ittico".

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