Al centro dell'Industria 4.0 c'è "solo l'impresa" e da questo modello produttivo emerge un quadro di "maggiore sfruttamento delle persone perché il digitale serve ad aumentare i ritmi di lavoro, a ridurre i tempi morti e a controllare la prestazione lavorativa su tutta la filiera". E' questo il quadro che emerge dall'inchiesta della Fiom di Milano e della Fondazione Claudio Sabattini che ha analizzato l'impatto della quarta rivoluzione industriale attraverso interviste ai lavoratori di aziende metalmeccaniche milanesi, del manifatturiero, dell'Ict, e dell'impiantistica. E' necessario rimettere al centro la "condizione - prosegue l'inchiesta - delle persone, perché queste nuove tecnologie devono rappresentare non soltanto un modo per aumentare la produttività, ma anche per migliorare la condizione dei lavoratori".
La segretaria generale della Fiom Cgil Milano, Roberta Turi, evidenzia che "come sindacato dobbiamo riappropriarci, anche con il conflitto, della contrattazione perché in questo momento le aziende non ci stanno chiedendo di partecipare a queste trasformazioni, ma le stanno portando avanti in solitudine". Inoltre, a fronte di una richiesta di maggiore qualificazione dei lavoratori, dalla ricerca emergono "tanti esempi di dequalificazione perché le macchine impartiscono al lavoratore le istruzioni, guidandolo passo passo, al punto che viene quasi indotto a non pensare".
Di conseguenza, "il lavoratore si sente più solo ed esiste un rischio concreto che la persona sia messi ai margini del sistema". Il giudizio è negativo anche sullo smart working, in quanto "le otto ore lavorative giornaliere vengono messe in discussione per sostituirle con un orario sempre più flessibile che, dando al lavoratore l'illusione di una maggiore libertà, sta aumentando sensibilmente". C'è poi il tema del gap di competenze, che "non viene colmato né dalle aziende né dal mondo della scuola e dell'università su cui si è sempre disinvestito".(ANSA).