STORIE DA STEREOTIPI. TUTTI
SORRIDONO NELLA STESSA LINGUA a cura di Emily Menguzzato
(Bora.La; 80 pag.; euro 15). Ragazzi e ragazze italiani e
pachistani si incontrano in una comunità di pratica
interculturale di Trieste, si conoscono e scrivono ciascuna e
ciascuno brevi racconti sulla loro storia. Ne nasce un breve
libro - curato dalla formatrice Emily Menguzzato e progettato da
Ilaria Margherita con la mediazione di Ai Mudassar - di otto
esistenze (cinque di ragazze, tre di ragazzi) con alle spalle
storie terribili o comunque difficili.
Sono le storie di chi ha affrontato a piedi l'interminabile e
pericolosissimo viaggio dal Pakistan fino a Trieste, con tappe
in Iran, in Turchia per riprendere fiato e lavorare per
garantirsi il denaro sufficiente fino alla tappa successiva.
Trieste è il terminal della cosiddetta "rotta balcanica",
finalmente in Italia, nella speranza di poter restare o magari
proseguire per altri Paesi europei.
Storie note ma che non saziano mai, che offrono sempre nuove
prospettive, che dovrebbero metterci di fronte a valori
dimenticati o volutamente accantonati. Così Baqar Alì racconta
l'emozione che gli impedisce di dormire per 48 ore in vista del
viaggio di ritorno in Pakistan, il primo da quando ha ottenuto
il permesso di soggiorno. Aveva 14 anni quando cominciò il
viaggio di andata, da solo, durato tre anni, ora, dopo altri
quattro, tornava a riabbracciare la famiglia. Shahzaib Ali
invece ha una sfrenata passione per la lettura, ha cominciato
prendendo in prestito dalla biblioteca i libri per bambini per
iniziare a imparare l'italiano. Adil Hussain si reputa
fortunato: si alza alle 4, prende la corriera da Trieste a
Monfalcone alle 5:40, inizia a lavorare in cantiere alle 6 e
finisce alle 16 dopo due pause di 15 e di 30 minuti. Rientra a
casa intorno alle 19, fa una doccia, cena e va a dormire. E'
assunto a tempo indeterminato ma non ha più una casa e questo
potrebbe metterlo seriamente in difficoltà, nonostante abbia un
regolare permesso di soggiorno. Chiara Stella Lorenzi il suo
viaggio lo ha dovuto fare interiormente, rinunciando alle sue
passioni e affrontando caparbiamente varie sventure; ha dovuto
assistere la mamma gravemente malata fino alla fine.
Se davvero tutti sorridono nella stessa lingua, e ne abbiamo
consapevolezza, forse smetteremo di avere paura e di costruire
steccati tra un "noi" e un "loro". O, almeno, li costruiremo più
bassi.
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