Europee: le quote rosa nel Parlamento Ue, una battaglia infinita

Crescita costante in seggi, ma solo due presidenti donne in 40 anni

di Lucia Sali

La parità di genere resta ancora un miraggio anche all'Europarlamento. Il più importante organo della democrazia europea, però, ha intrapreso un cammino significativo verso una maggiore eguaglianza tra uomo e donna, al punto che oggi la sua componente femminile - al 36,4% - risulta essere superiore non solo alla media dei parlamenti dei Paesi europei ma anche a quella dei parlamenti nel mondo.

Se il primo presidente del Pe dopo le prime elezioni europee della storia nel 1979 fu una donna - Simone Veil, icona della lotta femminista in Francia -, il suo è però rimasto un caso isolato.

La progressione della presenza femminile al Parlamento europeo è finora stata decisa. Questa è partita infatti dal 15,2% della prima legislatura nel 1979, per salire lentamente ma costantemente al 15,7% nel 1984, al 19,9% nel 1989, poi al 27,4% nel 1994, al 27,5% nel 1999, fino al rush degli ultimi mandati con il 29,9% nel 2004, il 35,5% nel 2009, e infine il 36,4% del 2014.

Un cambiamento radicale rispetto al periodo 1952-1979, quando l'assemblea di Strasburgo non veniva eletta ma nominata, con appena 31 donne in totale su quasi un trentennio. Tra queste, ben 5 le italiane pioniere: la prima fu Erisia Gennai Tonietti (Dc) nel 1961, seguita da Nilde Iotti (Pci) nel 1969, Tullia Carettoni Romagnoli (Psi-Pci) nel 1971, e infine Maria Cassanmagnago Cerretti (Dc) e Vera Squarcialupi (Pci) nel 1976.

Con il 36,4% di donne tra i suoi ranghi, oggi il Parlamento europeo si situa 12,8 punti sopra la media mondiale dei parlamenti nazionali (23,6%), e circa 8 punti sopra la media Ue (attorno al 28%). Con la nuova tornata elettorale di maggio i numeri dovrebbero però ancora migliorare: 11 Paesi Ue contro gli 8 del 2014 utilizzeranno quote rosa per assicurare un maggiore equilibrio uomo-donna. Tra le 3 new entry c'è l'Italia, dove non solo le liste devono avere il 50% di uomini e il 50% di donne e i primi due candidati devono essere un ticket rosa-azzurro, ma sarà applicato un nuovo sistema di preferenze per cui la seconda e la terza non saranno contabilizzate se le 3 indicate saranno tutte persone dello stesso sesso. A introdurre liste bilanciate uomo-donna anche il Lussemburgo e, in parte, la Grecia, dove almeno il 33% di candidati per ogni lista deve essere donna.

Gli altri Paesi che avevano già in vigore sistemi di quote nel 2014 sono Belgio, Francia, Spagna, Slovenia, Portogallo, Polonia, Romania e, in parte, Croazia.

Gli stati membri più rosa a Strasburgo al momento sono infatti la Finlandia, record con quasi il 77%, seguita da Irlanda e Croazia (55,4%). Maglia nera, invece, per Estonia e Cipro (solo il 16,7% di donne), seguite da Bulgaria (17,6%) e Lituania (18,2%). L'Italia si situa nella metà alta della classifica, 11esima con il 38,4%. La Spagna invece è sesta (48,1%), la Francia settima (43,2%) e la Germania 14esima (36,5%).

Quanto ai gruppi politici, non tutti sono 'women friendly' nella stessa misura: più si va nelle fila dei conservatori e a destra e meno donne ci sono (Ecr 22,7%, Ppe 28,6%, Enf 29,7%, Efdd 39%), mentre i liberali, i progressisti, la sinistra e iverdi sono anche i più rosa (Gue/Ngl 51,9%, Alde 45,6%, S&D 44%, Verdi 40,4%). Resta però un problema collettivo: il numero di donne in posizioni apicali. Nella legislatura in chiusura, se va meglio nelle commissioni dove 11 su 23 (48%) hanno un presidente donna (8 nella precedente), solo 5 donne su 14 (35,7%) sono vice presidenti del Pe (3 prima). A livello di presidenza dell'Aula la situazione è poi disastrosa: su 16 mandati complessivi, dopo l'exploit della francese Veil nel 1979 c'è stata una sola altra donna al vertice, la sua connazionale Nicole Fontaine nel 1999.

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