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Entro fine anno, la Commissione europea proporrà un piano d'azione per sviluppare un quadro normativo per la certificazione degli assorbimenti di carbonio e incoraggiare l'uso di soluzioni innovative per la cattura, l’uso e lo stoccaggio di CO2 (CCUS) da parte di industrie e agricoltura. Così l’Ue si allinea alle raccomandazioni dell’Agenzia Internazionale dell’Energia e segue i piani per l’uso della CCUS per il taglio delle emissioni climalteranti già in stadio avanzato in paesi come il Regno Unito, l’Islanda e la Norvegia. E accompagna iniziative come quella dei Paesi Bassi, che prevede di creare un grande centro di stoccaggio di CO2 al largo del Porto di Rotterdam, già finanziato con 2 miliardi. Ma anche "Belgio, Croazia, Danimarca, Grecia e Svezia stanno sostenendo Ccs e Ccu”, ha detto la Commissaria europea all’energia Kadri Simson parlando al forum europeo sul CCUS.
La Ccus è l’acronimo di “Carbon Capture, Utilization and Storage – spiega Stefano Consonni, docente di sistemi energetici al Politecnico di Milano – un processo che cattura la CO2 evitando che sia emessa in atmosfera”. E’ un processo tecnologico di interesse sia per i produttori di gas e petrolio, sia, sempre di più, per la riduzione delle emissioni industriali, in particolare nei settori cosiddetti “hard to abate” (siderurgia, cementifici, chimica, industria della carta e del vetro).
"Per fare un esempio – prosegue Consonni – al Politecnico e all’Eapa, una piccola società partecipata dal Politecnico, stiamo portando avanti un impianto pilota per la cattura della CO2 dalla produzione di cemento”. Nel ciclo CCUS, spiega il docente, “una volta catturata la CO2 viene trasportata – aggiunge il docente – e poi il riutilizzo sarebbe l’opzione da preferire per realizzare una circolarità del processo, ma il mercato potenziale disponibile per l’utilizzo è enormemente più piccolo della quantità di CO2 che dovremmo catturare per avere un effetto significativo sul cambiamento climatico”. Quindi, dice Consonni, “oltre all’utilizzo abbiamo bisogno dello stoccaggio, cioè di un deposito per la CO2 a lungo termine, nell’ordine di centinaia di milioni di anni". "I giacimenti di combustibili fossili", soprattutto quelli esauriti, "si prestano in modo particolare a questo scopo", conclude Consonni.
"Diciamo la verità, abbiamo imparato a nostre spese la lezione" sulla cattura, lo stoccaggio e l’utilizzo del carbonio, "ora dobbiamo raddoppiare gli sforzi". Lo ha detto la Commissaria Ue all’energia Kadri Simson parlando al forum europeo sul Ccus. Simson ha ricordato un fallimento: l'ambizione Ue di realizzare 12 progetti su larga scala per catturare e immagazzinare CO2 in tutta Europa entro il 2015, con legislazione e finanziamenti ad hoc, attraverso il fondo NER300. "Quanti di questi progetti sono stati realizzati? Neanche uno", ha constatato la Commissaria.
Molti dei primi progetti di CCUS, alcuni risalenti agli Settanta-Ottanta del XX secolo, erano stati realizzati allo scopo di utilizzare l’anidride carbonica per ottimizzare il recupero degli idrocarburi dai giacimenti.
Ma il revival della CCUS è invece legato alle possibilità di utilizzarla per abbattere le emissioni delle industrie energivore. "Non dobbiamo abbandonare l’idea di sviluppare un settore CCUS europeo, semmai dovremmo raddoppiare i nostri sforzi", ha scandito Simson, perché "il momento è quello giusto". Oltre alla spinta politica, c’è un altro elemento di contesto che rende la CCUS una prospettiva più praticabile rispetto al passato, cioè il prezzo della CO2. Oggi la stima dei costi di un progetto di cattura, trasporto e stoccaggio della CO2 è tra i 70 e i 140 euro per tonnellata di CO2. Maggiore è il costo evitato della CO2 e più si avvicina il punto di pareggio di un progetto di CCS, che nel caso dell’utilizzo di giacimenti esauriti già oggi è compreso in un intervallo tra 70 e 100 euro la tonnellata. Il prezzo del carbonio nel mercato Ets nel 2021 è arrivato a superare i 60 euro la tonnellata, nel 2020 era intorno a 25 euro.
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La IEA, nel suo rapporto sullo scenario a zero emissioni nette nel 2050 prevede un contributo della CCUS per evitare l’emissione di 7,6 miliardi di tonnellate di CO2 all’anno nel 2020-50. Nuovi progetti sono in realizzazione. In Europa quello tra i più avanzati c’è HyNet, per la decarbonizzazione delle attività industriali della Baia di Liverpool. Eni UK è capofila del Consorzio che svilupperà il progetto e si occuperà del trasporto e dello stoccaggio della CO2 nei giacimenti depletati nella Baia di Liverpool. HyNet è stato selezionato recentemente tra progetti di CCUS in Track 1 nella gara “Cluster Sequencing for Carbon Capture Usage and Storage Deployment: Phase 1” indetta dal Governo britannico, consentendo l’avvio del progetto entro il 2025.
“Eni è interessata a sviluppare progetti CCUS per il raggiungimento dei proprio obiettivi di decarbonizzazione, ma anche a offrire conoscenze, competenze e assett, come i nostri giacimenti ormai esauriti che sono il sito ideale per lo stoccaggio della CO2, a industrie terze dei settori hard to abate”, spiega Roberto Ferrario, responsabile tecnologie innovative CCUS di Eni.
Un progetto analogo a HyNet è Ravenna CCS. “Nell’offshore di Ravenna – racconta Ferrario – disponiamo di grandi giacimenti arrivati alla fine del ciclo produttivo che possono essere riconvertiti in maniera vantaggiosa per accogliere la CO2 del distretto di Ravenna e di gran parte del Nord Italia”. Resta il fatto che i circa cento impianti di CCUS funzionanti oggi nel mondo arrivano a sequestrare 40 milioni di tonnellate di CO2 l’anno. Per arrivare al traguardo IEA di 7 miliardi di tonnellate serve un ulteriore spinta, argomenta Ferrario. “Dal punto di vista tecnico – spiega – i processi della CCUS sono noti e collaudati da decenni, quello che sarebbe invece necessario affinché questa tecnologia possa essere applicata su grande scala è completare il quadro normativo e delle regole”.
Credits: Foto 1, Øyvind Hagen; Foto 2, Kjetil Alsvik
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