di Redazione ANSA

Il marchio bio, il simbolo di un universo in espansione

Semaforo verde, è proprio il caso di dirlo, dal Parlamento Ue al nuovo regolamento Ue sul biologico, un voto che chiude l’ultima riforma del settore rampante dell’agricoltura europea. Ed un voto che è anche l’occasione per fare il punto su come è nato il marchio bio e sulle sfide che attendono questo insieme di norme di produzione che non vogliono confinarsi solo alla campagna ed alle tavole, ma diventare un nuovo paradigma di vita e di gestione dei beni pubblici.

Un logo che ha creato un mercato

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“Il biologico è un modello di produzione innovativo nato nei primi anni Venti”, racconta Eduardo Cuoco, direttore di IFOAM-UE, l’associazione dei produttori bio europei, “da un gruppo di pionieri, di visionari, che hanno iniziato a codificare delle pratiche agricole nuove per produrre cibo di alta qualità”. Cuoco lo dipinge come un modello di “agricoltura open source che cerca di rispettare l’ambiente”, da questa prima fase pionieristica si passa ad una seconda, “in cui queste pratiche sono state riconosciute da governi nazionali ed europei”, con un punto di svolta.

“Nel 1991 – insiste Cuoco - c’è stata la prima pubblicazione del regolamento del biologico europeo, il 2092 del 24 giugno 1991, e da allora si è registrato un continuo riconoscimento delle pratiche biologiche come pratiche rispettose dell’ambiente”. E non finisce qui: “il regolamento ha anche dato la possibilità di creare un logo europeo per il biologico, uno sfondo verde con una fogliolina stilizzata con le stelle europee, è il logo che riconosce i prodotti bio non solo prodotti in Europa ma anche quelli importati e trasformati nella Ue”. E guardando l’etichetta, è possibile capire se è un prodotto di agricoltura europea o non europea e importata.
Il logo non è solo una questione di origine, ma, precisa ancora Cuoco, “ha dato la possibilità di creare un mercato dei prodotti biologici che sta esplodendo: negli ultimi 10 anni è cresciuto del 112% e l’unico settore in Europa che durante questo periodo di crisi ha avuto un incremento così importante”. 

Se il presente è un successo commerciale, qual è il futuro del bio? “Si apre ora una terza fase, in cui il bio sarà un motore di traino per risolvere alcune delle sfide sociali che stiamo affrontando, un futuro in cui il biologico si vuole porre al centro di una trasformazione del settore agroalimentare europeo, che passa dalla possibilità di dare più accesso ai prodotti bio per i consumatori, di migliorare le rese e il modo in cui vengono coltivati e trasformati e allo stesso tempo aiutare gli agricoltori della cosiddetta agricoltura convenzionale a convertirsi verso il biologico”. Un mondo in cui il biologico sarà il centro di una nuova rivoluzione, vaticina Cuoco, e in cui “questi ‘convertiti’ aiuteranno i nostri agricoltori bio a iniziare a produrre non solo cibo ma anche beni pubblici, perché – e qui Cuoco torna alle origini - quando parliamo di agricoltura biologica non è solo un metodo produttivo per la produzione di alimenti ma anche un modello produttivo che mette al centro l’ecologia e quindi la produzione di beni pubblici e di servizi eco-sistemici”.


Greenpeace: “Un marchio che assicura valore aggiunto”

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“La certificazione bio dall’agricoltore bio la sicurezza di poter vendere il proprio prodotto a tutta quella cerchia di consumatori che vogliono un’agricoltura che metta la tutela dell’ambiente e della salute pubblica in primo piano”. È questa la definizione di Marco Contiero, Greenpeace Europa. “La coltivazione bio impone di fare delle scelte più costose, impone di mettere nella struttura dell’azienda agricola molta più attenzione ed è giusto che tutto ciò venga ricompensato”. In sostanza il marchio bio indica un valore aggiunto che va premiato, anche con un costo che è differente.

Ma anche un costo che potrebbe essere coperto, dicono da Greenpeace, dall’Europa. “Quello che sarebbe essenziale a livello Ue e nazionale è che sussidi pubblici vengano messi nell’agricoltura biologica per ricompensare gli agricoltori che fanno questi sforzi e per convincere altri agricoltori convenzionali a intraprendere questa via, che è una cosa che dal punto di vista della transizione è molto difficile, perché i primi anni sono molto difficili con costi elevati”.

Altro aspetto importante, sottolinea Contiero, è quello dell’allevamento: “la maggior parte delle aziende bio sono aziende miste con animali e coltivazioni vegetali, ciò è importante per ricreare un’economia circolare all’interno dell’azienda agricola. Non c’è bisogno di elementi esterni, perché tutto avviene all’interno dell’azienda: gli animali con le loro deiezioni forniscono il fertilizzante necessario al terreno, ma non immettono nel terreno tutta quella quantità di sostanze inquinanti che invece i grandi allevamenti industriali di bovini, maiali e polli fanno”. Un modello di sostenibilità ambientale che, giurano gli ecologisti, andrebbe promosso maggiormente in ambito Ue e nazionale.

 


L’Europa ed il biologico: regole ed aiuti

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Se per Greenpeace l’Europa fa ma non abbastanza, per Giovanni La Via, eurodeputato di AP-PPE, il supporto comunitario al settore non è per nulla da sottovalutare. “L’UE mette a disposizione attraverso i piani di sviluppo rurale mediamente 12 miliardi di euro l’anno per le politiche di sviluppo rurale”, precisa La Via, “almeno il 40% di queste è destinate alle misure agroambientali, quindi al sostegno dei produttori che realizzano processi produttivi a basso impatto ambientale, la parte del leone la fanno sicuramente i produttori bio che grazie ai premi alla produzione date dalla PAC compensano i maggiori costi connessi con la produzione biologica”.

E oltre ai soldi, ci sono le leggi. “Con questo percorso normativo chiuso alla fine del 2017, ed approvato questa settimana a Strasburgo, “l’Ue ha anche cambiato l’approccio rispetto al passato per le importazioni di prodotti bio”, precisa La Via. “Sino ad adesso chi esportava verso la Ue doveva avere una certificazione che era la propria certificazione nazionale, ora dovrà comportarsi conformemente a quello che si fa in Europa quindi dovrà adottare di fatto le stesse procedure e le stesse metodologie e questo deve rassicurare i consumatori italiani ed europei”.

Un nuovo approccio al biologico, che oltretutto verrà sottoposto a monitoraggio. “Dal 2021 abbiamo previsto un check, un controllo su questa nuova normativa per verificare se è idonea alle esigenze dei produttori e all’interesse dei consumatori”.


Tutti matti per il Bio: un mercato in esplosione

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“ll mercato del biologico in Europa cresce tra il 10 ed il 15% ogni anno e cresce molto di più delle superficie destinate”, chiarisce La Via. “Il che vuol dire che se in una prima fase era aumentata l’offerta dei prodotti biologici, ora è aumentata la domanda e riesce a recuperare tutti quei prodotti che venivano coltivati come bio e valorizzati commercialmente invece come convenzionali”.

In soldoni il bio vale 30 miliardi, un mercato che è per il 25% tedesco, il 16% francese e solo il 7% è italiano, “ma gli italiani”, precisa La Via, “così come i mediterranei sono i maggiori produttori di biologico, soprattutto parliamo di ortofrutta di cereali, di olio, di vite, quindi le principali produzioni mediterranee sono coinvolte in questo processo”. E quindi se il biologico cresce non porta con sé solo la promozione di un determinato stile alimentare, ma anche “un’opportunità per la valorizzazione di una produzione tipica che aveva difficoltà ed ha difficoltà sui mercati convenzionali”.

 


Giovane ed innovativo: il profilo dell’agricoltore bio

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“Gli agricoltori biologici sono innovativi, giovani che producono cibo di alta qualità”, incalza Cuoco. “Il 22% degli agricoltori bio italiani sono under 40, ed è grazie a questa forza giovane e nuova che arriva nel settore agricolo che riusciamo a produrre alimenti di alta qualità che hanno un grande riscontro sul mercato”.

Negli ultimi 20 anni il numero di aziende bio in Italia si è moltiplicato del 900% e la superficie italiana biologica raggiunge circa i 2 milioni di ettari, “un’area grande quanto Toscana, Marche ed Umbria messe assieme, stiamo parlando di una nuova macroregione italiana, la macroregione del biologico”.

 

(Foto concesse dal Parlamento Europeo)