(ANSA) - TRENTO, 10 GEN - Dall'analisi del contenuto di
oltre 40.000 pagine di atti dell'indagine della Procura di
Trento su Sara Pedri, "va subito affermato, senza timore di
essere smentiti, che non emerge alcuna indicazione proveniente
dalla dottoressa Pedri, o da altri, circa atteggiamenti
intimidatori, vessatori o violenti attribuibili al dottor Tateo
e da lei subiti". Lo scrive l'avvocato Salvatore Scuto, legale
di Saverio Tateo, l'ex primario del reparto di ostetricia e
ginecologia dell'ospedale di Trento, dove lavorava Sara Pedri,
scomparsa in Trentino dal 4 marzo 2021. Nei giorni scorsi erano
stati diffusi i contenuti di una perizia psicologica di parte
prodotta dall'avvocato della madre della ginecologa 31 enne con
la frase "Sono un morto che cammina. Questa volta non ce la
farò", attribuita a Sara che - secondo la perizia - sarebbe
stata vittima di mobbing sul posto di lavoro.
Secondo quanto rileva l'avvocato Scuto quella frase è stata
estrapolata da una conversazione ben più complessa ed
esisterebbe invece "un sentimento di personale insoddisfazione
che accompagna la dottoressa Pedri in ogni contesto lavorativo
in cui si è trovata. E ciò sembra del tutto indipendente dalle
persone con cui la stessa ha collaborato, in quanto pare nascere
dalla scelta dell'ambito professionale e da un vissuto
particolarmente complesso". Negli atti ci sono infatti 32.561
pagine relative ai contenuti del telefono di Pedri, risalenti
anche al 2019 e 2020, ben prima che la donna arrivasse in
Trentino. Messaggi e mail ad amici, famigliari e colleghi da cui
a volte traspaiono frustrazione e insicurezza. Secondo
l'avvocato Scuto, quindi, la giovane ginecologa stava certamente
vivendo un disagio "nel periodo appena precedente la sua
scomparsa, questo disagio non era certo ' frutto' del rapporto
con dottor Tateo, come viceversa è stato univocamente fino ad
oggi narrato dagli organi di stampa".
Secondo l'avvocato Scuto, dall'analisi delle conversazioni
di Sara Pedri, emerge un quadro di forte disagio personale
legato soprattutto alla frustrazione della dottoressa per non
poter coronare il vero obiettivo professionale, ovvero lavorare
in un centro Pma, l'unità per la procreazione medicalmente
assistita. (ANSA).
Caso Pedri: legale Tateo, a disagio in ogni luogo di lavoro
La difesa del primario: lei sperava di andare in un centro Pma
