(di Silvia Lambertucci)
Un'agorà di quasi 33 mila metri
quadrati, la più grande del mondo antico, che torna a mostrare i
suoi confini. E poi ancora, sull'acropoli, i resti di quello che
sembra essere stato il luogo sacro dei primissimi coloni greci
di Selinunte, arrivati al seguito del fondatore Pammilo da
Megara Hyblea. Ma anche amuleti e oggetti di grande raffinatezza
uguali ad altri ritrovati in Grecia, a Delfi, che si aggiungono
al mistero di uno stampo in pietra usato forse per fondere uno
scettro in bronzo. Sono le scoperte - che l'ANSA pubblica in
anteprima - dell'ultima campagna di scavi guidata da Clemente
Marconi nel parco archeologico siciliano, un'impresa che ha
visto lavorare insieme per la prima volta due missioni
internazionali, quella dell'Institute of Fine Arts della New
York University e dell'Università degli Studi di Milano con la
squadra dell'Istituto Archeologico Germanico. "Risultati della
massima importanza per la conoscenza di Selinunte in età arcaica
e classica", sottolinea con emozione Marconi, l'archeologo che
da decenni studia i resti dell'antica colonia greca.
Scoperte che accendono una nuova luce sulla storia
affascinante e breve di questa città e che si annunciano mentre
nel parco siciliano - il più grande d'Europa con i suoi 270
ettari di natura e maestose rovine affacciate sul mare - un
intervento sulla vegetazione studiato dall'Istituto Germanico ha
appena riportato alla luce i confini dell'agorà, dalle
dimensioni enormi (il doppio di Piazza del Popolo a Roma) e la
forma vagamente trapezoidale con al centro, unico monumento, una
tomba, forse proprio quella del fondatore. "Una conca vuota che
impressiona per la sua ampiezza e il suo fitto mistero", sorride
il direttore del Parco archeologico di Selinunte, Felice
Crescente. Uno spazio "che dà l'idea della magnificenza di
questa città e della sua straordinaria essenza", commenta
accanto a lui l'assessore alla cultura Alberto Samonà.
Dopo due anni rallentati dalla pandemia, in giugno si è
ripreso a scavare a pieno ritmo e i risultati, sottolinea
Marconi, "sono andati molto oltre le aspettative". L'idea di
partenza era quella di riuscire a datare l'epoca di costruzione
di due dei templi più recenti dell'acropoli, denominati A e O, a
lungo ritenuti gemelli. Lo scavo ha dimostrato che A è stato
costruito prima di O e che la costruzione di quest'ultimo è
stata probabilmente interrotta per uno smottamento del terreno.
La scoperta più importante però, è stata quella di una faglia
d'acqua sotto le fondazioni del tempio A, un particolare, indica
il professore, "che conferma l'ipotesi che i primi coloni greci
si siano insediati proprio in questa porzione meridionale
dell'Acropoli". E' qui, insomma, che nasce l'antica Selinus.
Non solo. Perché scavando in profondità intorno ad un terzo
tempio, il cosiddetto R, costruito nel VI secolo a.C. e poi
forse riedificato dopo il 409 a.C. quando i Cartaginesi
occuparono e distrussero la città, gli archeologi hanno
identificato le mura di un recinto rituale risalente al 610
a.C., non molto tempo dopo quindi l'arrivo dei coloni guidati da
Pammilo, che Tucidide fissa al 628 a.C. e Diodoro al 650 a.C..
Ed è sempre qui, dentro il tempio R, che la terra ha restituito
la parte mancante di una matrice in pietra (la prima era stata
trovata dieci anni fa a breve distanza) servita per la fusione
di un oggetto in bronzo, sembra uno scettro. Un oggetto così
prezioso, ipotizzano oggi gli archeologi, da non dover essere
replicato. Per questo subito dopo la fusione le matrici
sarebbero state seppellite in due luoghi diversi.
Da quello stesso edificio, rivela Marconi, arrivano poi due
oggetti, che nei prossimi giorni verranno esposti
nell'antiquarium del Parco: un amuleto in forma di falco,
immagine del dio del cielo Horo realizzata in blu egizio, che
arriva dall'Egitto della fine del VII secolo a.C., e una
statuina in miniatura raffinatissima di una sirena in avorio,
ritrovata in frammenti nel 2017 e ricostruita in questi mesi in
laboratorio. Una piccola meraviglia, sottolinea Marconi, quasi
certamente importata dalla Grecia, che "racconta la ricchezza
raggiunta dalla città nel VI secolo a.C.". Due secoli più tardi
la fine per Selinunte sarà terribile, con la città messa a ferro
e fuoco dai soldati di Annibale. Sepolta per secoli, la grandeur
di quel secolo d'oro torna oggi a stupire.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA