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Giacomo Boni, archeologo all'alba della modernità

Esposizione a Parco archeologico Colosseo (da 15/12 a 30/4)

di Francesca Pierleoni ROMA

ROMA - Le tenebre del passato "si addensano per chi presume di rischiararle con il proprio sapere, ma chi si accosta umilmente all'ignoto, cercando la verità, si avvezza alla penombra e intravede, distingue, tocca con mano". Lo scriveva Giacomo Boni (Venezia, 1859 - Roma, 1925), uno dei più importanti archeologi italiani tra XIX e XX secolo. Autodidatta, con una formazione di disegnatore e attivo in cantieri veneziani, è stato un precursore nei metodi innovativi di scavo, a cominciare da quello stratigrafico e nelle nuove concezioni di restauro e di valorizzazione del patrimonio, diventando una figura di riferimento per la cultura dell'epoca e un modello per gli studi di archeologia. A lui viene dedicata al Parco archeologico del Colosseo, Giacomo Boni. L'alba della modernità" (15 dicembre -30 aprile), una mostra diffusa, nei luoghi in cui l'archeologo operò principalmente: il Foro Romano (di cui diresse gli scavi dal 1898) e il Palatino (dove fu direttore degli scavi dal 1907). Tra le sue scoperte, realizzate anche grazie alle foto delle aree archeologiche che effettuava da una mongolfiera, ci sono il Tempio di Vesta, il complesso della fonte sacra di Giuturna e la chiesa medievale di Santa Maria Antiqua.

"Giacomo Boni era un grande italiano, un precursore, non solo per i lavori straordinari fatti in questo parco ma perché ha intuito un secolo prima che la tutela del patrimonio e la sua valorizzazione dovessero stare unite, tutto quello che è scritto nell'articolo 9 della Costituzione, ciò che abbiamo tentato di fare in questi anni - spiega il ministro della cultura Dario Franceschini -. I risultati si vedono anche con questa mostra e questi restauri, grazie al Parco archeologico del Colosseo, uno dei musei nuovi frutto della riforma". Boni è'" una figura - sottolinea il direttore generale Musei Massimo Osanna - che ha anticipato tutte le nuove politiche sul restauro, battendosi anche per la necessità di preservare l'autenticità delle rovine". L'esposizione, curata da Alfonsina Russo, Roberta Alteri, Andrea Paribeni con Patrizia Fortini, Alessio De Cristofaro e Anna De Santis, organizzazione e promozione di Electa, si articola in quattro sezioni: l'attività archeologica e il museo forense ("che abbiamo riaperto al pubblico dopo decenni di chiusura" spiega Alfonsina Russo, direttore del Parco Archeologico del Colosseo) , nel Complesso di Santa Maria Nova; la vita di Boni, al Tempio di Romolo (dove è possibile vedere anche l'aerostato del 1913 come quello utilizzato dall'archeologo); la scoperta della chiesa e del ciclo pittorico bizantino, a Santa Maria Antiqua e nella rampa domizianea; il contesto culturale e artistico del primo Novecento, nelle Uccelliere farnesiane, che erano diventate negli ultimi anni della sua vita, anche dimora di Boni, dove lo andavano a trovare amici come D'Annunzio, Eleonora Duse, Sibilla Aleramo, Colette. Tra i dipinti esposti, Gli archeologi (1927) di Giorgio De Chirico.

"A Boni tutti noi dobbiamo tantissimo" aggiunge Alfonsina Russo, che cita anche alcune parole dell'archeologo "attuali come non mai": 'Di fronte alla scienza, l'Italia è depositaria e responsabile del rispetto per i tesori di bellezza, che sono i nostri titoli nobiliari,la nostra difesa morale, una delle sue sorgenti di gioia e ricchezza. Non dobbiamo mostrarci indegni di possederli". Boni "arrivò a Roma nel 1888, e disse, 'lascio la mia città madre (Venezia, ndr) per andare nella mia città nonna - ricorda Miguel Gotor, nuovo assessore alla cultura di Roma Capitale - Questa città nonna l'ha cambiata, dando delle indicazioni su come si gestisce un patrimonio culturale immenso, con efficienza, intelligenza e con delle novità straordinarie".

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