CATERINA DE BONI, A PASSO DI
PECORA. IL VIAGGIO DI UNA PASTORA TRANSUMANTE (edicicloeditore;
187 pag.; 16 euro) Può tenere alta l'attenzione un libro per
quasi duecento pagine descrivendo soltanto qualche mese di
transumanza di una pastora che attraversa le montagne e le
vallate tra il Friuli Venezia Giulia e il Veneto?
Incredibilmente, sì. Non per il tono narrativo - che in questo
caso è efficace ma scarno, a tratti ingenuo - e nemmeno per le
descrizioni degli incantevoli luoghi: semplici, da cartolina.
Tiene invece perché l'autrice - la pastora stessa - ama il suo
lavoro e trasmette nelle pagine l'autenticità di questa passione
e del mondo che si svolge intorno alla pastorizia.
Non c'è soltanto la scoperta di un mestiere dimenticato o
comunque mai conosciuto realmente con tutta la sua carica di
novità, soprattutto c'è una 'spoon river' di figure
caratteristiche di luoghi e culture ben lontani dal mainstream
delle grandi metropoli e delle conurbazioni industriali.
Riteniamo, erroneamente, che il mondo abbia senso e significato
soltanto nei luoghi e gangli delle grandi interconnessioni, come
sostiene il politologo indiano Parag Khanna. Dunque, quello di
Caterina la pastora dovrebbe essere un banale mondo di periferia
culturale e geografica. Una periferia che comincia ben oltre i
limiti urbani, tanto distante dai punti nevralgici da costituire
un mondo autarchico, parallelo. Qui non si accendono nemmeno i
riflettori della cronaca: siamo nella dimensione in cui fa
notizia una mucca che partorisce, la scomparsa da un anno
all'altro della distesa di elleboro, sostituita da veratro,
oppure è degno di nota il fatto che il vino di Nato, che abita a
Fòses, quest'anno non sia di gran qualità.
San Vito, Borca, Cancia, Zoldo, Alpago, Lama di Som: un mondo
parallelo. Perfino la vip Cortina d'Ampezzo viene osservata da
un'ottica che le fa perdere ogni forma di snobismo: gran parte
dei boschi e dei prati di Cortina sono di proprietà delle
"Regole d'Anpezo", amministrati dai capifamiglia ampezzani,
discendenti dalle antiche famiglie originali della valle - i
Zardini, i Menardi, i Ghedina - al contrario dei cortinesi,
venuti da fuori e chiamati perciò anche cadoris. Ogni mondo è
paese e dunque i cortinesi sono ancor oggi "forestieri". In
questo spacchettamento etnico, dunque, i ladini fanno
collettività a parte: né italiani né tedeschi, "abitanti delle
terre alte, gli indomiti". Nel suo viaggio con uno o due pastori
conducendo un gregge di mille pecore, Caterina incontra ogni
anno gli stessi personaggi. Non è un viaggio monotono, al
contrario, avventuroso, cadenzato anche da feste, bevute,
musica. C'è il Tussi, mitico cuoco di rognoni e di minestrone di
fagioli con i piedini di maiale; il Batifièr, che lascia
parcheggiare il camper che segue i pastori vicino a casa sua; il
Nani Tacia, silenzioso, tranquillo ma pericolosamente forte come
una quercia e che per questo si caccia spesso nei guai; il Bepi
del Vin con la inseparabile bicicletta Graziella sgangherata, e
c'è il ricordo di don Pancino, a Vivaro, che era stato amico
intimo di Edda Mussolini, che vinse una sfida con i nazisti
salvando tante vite umane.
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