(ANSA) - ROMA, 18 MAR - Il 70% dell'acqua dolce prelevata da
fonti di superficie o falde acquifere è impiegata nel settore
agricolo ed è, quindi, alla base della produzione di cibo,
mentre oltre il 90% della nostra impronta idrica (cioè
l'indicatore che misura l'ammontare di acqua usata nelle fasi di
produzione di un bene) è legata al consumo di cibo. Lo ricorda
la Fondazione Barilla Center for Food & Nutrition (Bcfn) che ha
elaborato un'analisti in occasione della Giornata Mondiale
dell'Acqua, che ricorre il 22 marzo.
La Fondazione Barilla ricorda che, sempre secondo l'Onu,
circa due miliardi di persone nel mondo vivono in zone ad
elevato stress idrico, ossia con difficoltà ad accedere
all'acqua. Un quadro destinato a impattare anche sulle
migrazioni, dato che entro il 2030 si prevede che proprio la
scarsità di acqua farà spostare dai 24 ai 700 milioni di
persone. Dall'analisi emerge che due terzi della popolazione
mondiale (circa 4 miliardi di persone) vive in aree che soffrono
di carenza idrica per almeno un mese all'anno, mentre 1,6
miliardi di persone (quasi 1/4 della popolazione mondiale)
soffre la carenza di acqua per motivi economici, perché i Paesi
in cui vivono non dispongono delle infrastrutture necessarie per
prelevare questa risorsa. Per questo, rileva la Bcfn, serve
guardare a modelli alimentari davvero sostenibili, privilegiando
alimenti che tengano conto anche dell'impronta idrica del cibo
che mettiamo a tavola. Scegliere un menu con carne, che ha
un'impronta idrica di 2031 Kcal, significa consumare 4.707 litri
di acqua. Quantità che si andrebbe a ridurre scegliendo un menu
vegetariano (2.828 litri e 2016 Kcal) o uno vegano (2.523 litri
e 2109 Kcal). A livello europeo è stato stimato che mangiare
meno carne potrebbe ridurre l'impronta idrica fino al 35%,
mentre sostituendo la carne con il pesce, l'impronta idrica si
ridurrebbe fino al 55% (stessa percentuale che si otterrebbe
passando ad una dieta vegetariana).(ANSA).
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