"Con una superficie coltivata del Granaio Italia rimasta immutata in 115 anni (1,2 - 1,3 milioni di ettari) e un deficit strutturale del 30% - ha detto il presidente dei pastai di Aidepi Riccardo Felicetti - l'industria compra l'intera produzione nazionale, ma dobbiamo da sempre acquistare grano estero seguendo due istanze, la quantità e la qualità, per garantire omogeneità di prodotto al consumatore".
"I grani antichi sono un'opportunità supplementare - ha osservato il produttore trentino di pasta biologica - ottimi per la tutela della biodiversità e per un mercato di nicchia, ma non si potrebbe fare tutta la pasta made in Italy con grani antichi.
Non ha senso alimentare una contrapposizione tra varietà antiche e moderne, che hanno salvato la competitività del settore. La sfida è piuttosto dare un valore Premium al grano di qualità italiana".
Da sempre, ha osservato Emilio Ferrari, vicepresidente Italmopa e esperto cerealicolo, "la storia del grano è fatta di convivenza e commistione tra specie vecchie e nuove. La pasta è come lo Champagne, è un blend di successo, non a caso i produttori italiani comprano grano duro da Usa, Canada, Australia e Francia, che costa il 10%-15% in più".
"E sono i nostri mugnai e pastai - ha concluso Rossella Ferro, azionista de La Molisana - a rendere la pasta made in Italy un unicum. I prodotti sono forse imitabili, ma la nostra storia no, e l'Italia ha successo perché vende una tradizione, un modello, uno stile di vita".
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