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Latte: Coldiretti, settore rischia crack,1000 stalle chiuse

Latte: Coldiretti, settore rischia crack,1000 stalle chiuse

In un anno persi 4mila posti lavoro

ROMA, 12 novembre 2015, 11:53

Redazione ANSA

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- RIPRODUZIONE RISERVATA

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- ROMA - Oltre mille stalle da latte chiuse delle quali il 60% in montagna e quasi quattromila posti di lavoro andati in fumo per effetto della perdita nei bilanci di circa 550 milioni di euro perché il latte agli allevatori viene pagato al di sotto dei costi di produzione, con una riduzione dei compensi fino al 30% rispetto allo scorso anno, su valori inferiori a quelli di venti anni. E' quanto emerge dal bilancio dell'allevamento da latte in Italia che tradizionalmente in campagna si chiude l'11 novembre, giorno di San Martino. Il prezzo del latte fresco - sottolinea la Coldiretti - nel 2015 moltiplica quattro volte dalla stalla alla tavola e, a fronte di una produzione nazionale di circa 110 milioni di quintali di latte, sono 85 milioni di quintali le importazioni di latte equivalente dall'estero, circa il 40%, e c'è il rischio concreto che il latte straniero possa a breve per la prima volta superare quello tricolore.
La storica mobilitazione di questo mese - prosegue la Coldiretti - ha già coinvolto circa ventimila allevatori che insieme alle principali associazioni dei consumatori (Adiconsum, Federconsumatori, Adusbef, Codacons, Movimento consumatori) hanno intercettato centinaia di camion, tir e cisterne, presidiato decine di iper e supermercati in tutte le regioni, distribuito almeno trecentomila volantini ai consumatori per spiegare i motivi della protesta.
Gli allevatori della Coldiretti chiedono che il compenso riconosciuto sia almeno commisurato ai costi di produzione che variano dai 38 ai 41 centesimi al litro, secondo l'analisi ufficiale effettuata dall'Ismea in attuazione della legge 91 del luglio 2015. Inoltre - denuncia la Coldiretti - l'assenza dell'indicazione chiara dell'origine del latte a lunga conservazione, ma anche di quello impiegato in yogurt, latticini e formaggi, non consente di conoscere un elemento di scelta determinante e impedisce anche ai consumatori di sostenere le realtà produttive nazionali. 

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