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Caporalato spinto da lavoro nero, c'è pure a Nord

Reato dal 2011, le pene crescono con i lavoratori reclutati

Redazione ANSA ROMA

(di Cristina Latessa)

- ROMA - Il caporalato, ovvero l'intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, è un reato introdotto nel Codice penale con la legge 14 settembre 2011, n. 148. Secondo la legge si tratta "dell'attività organizzata di intermediazione caratterizzata dallo sfruttamento dei lavoratori mediante violenza, minaccia o intimidazione". "L' articolo di legge che elenca quattro circostanze al sussistere di almeno di una delle quali si costituisce l'indice di sfruttamento, le cosiddette "spie" adatte a capire se ci si trova o meno in situazione di caporalato", osserva Coldiretti. La prima è la sistematica retribuzione dei lavoratori in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato; la seconda è la sistematica violazione della normativa relativa all'orario di lavoro, al riposo settimanale, all'aspettativa obbligatoria, alle ferie; la terza è la sussistenza di violazioni della normativa in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro, tale da esporre il lavoratore a pericolo per la salute, la sicurezza o l'incolumità personale; la quarta è la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, metodi di sorveglianza, o a situazioni alloggiative particolarmente degradanti.

Il caporalato è punito con la reclusione da cinque a otto anni e con la multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato; le pene aumentano quando i lavoratori reclutati sono più di tre, quando hanno meno di sedici anni o quando sono esposti a gravi pericoli. Come pena accessoria, i condannati rischiano di non poter più ricoprire cariche direttive nelle imprese né prendere finanziamenti, agevolazioni o appalti pubblici.

Al primo gennaio 2014 erano 355 i caporali arrestati o denunciati dall'entrata in vigore della norma.

Il caporalato, come rileva Cia-Confederazione italiana agricoltura, "è figlio diretto della diffusione del lavoro nero in agricoltura": L'Eurispes stima al 32% l'incidenza del sommerso in agricoltura nel 2014. Una cifra in aumento negli ultimi anni: 27,5% nel 2011, 29,5% nel 2012, 31,7% nel 2013.

L'Istat sottolinea anche una variabilità territoriale quanto a irregolarità occupazionale: il primo posto spetta al Mezzogiorno dove il tasso supera la soglia del 25%. Esemplare il caso della Puglia dove, nel 2013 è risultata in nero la metà dei lavoratori delle aziende sottoposte ad ispezione. "La figura del caporale - osserva Giorgio Carra, segretario nazionale Uila - si sviluppa sulla base della compiacenza del datore di lavoro che ha la sua convenienza a utilizzare manodopera sottopagata e sfruttata nell'orario. Il fenomeno è presente soprattutto al Sud ma lo riscontriamo anche al Nord, magari sotto forme più sofisticate come le 'cooperative senza terra' che assumono in proprio le persone che fanno poi lavorare in altre aziende. In agricoltura le forme contrattuali sono più flessibili e orientate alle esigenze del comparto, come il lavoro stagionale. Ma in questi meccanismi è facile anche fare i furbi. Per esempio denunciare numeri molto inferiori delle giornate lavoro. Nel 2014 su circa 900 mila braccianti agricoli rilevati dall'Istat, 50mila risultavano aver fatto meno di tre giornate di lavoro!". 

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