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I banchetti del Gattopardo e degli aristocratici

Tra storia e leggende, ricette e curiosità in libro di Carcano

Redazione ANSA PALERMO

 - ELENA CARCANO "IL BANCHETTO DEL GATTOPARDO. A TAVOLA CON L'ARISTOCRAZIA SICILIANA" (IL LEONE VERDE, PP. 95 - 10 EURO) "Quando tre servitori in verde, oro e cipria entrarono recando ciascuno uno smisurato piatto d'argento che conteneva un torreggiante timballo di maccheroni, soltanto quattro su venti convitati si astennero dal manifestare una lieta sorpresa: il Principe e la Principessa perché se l'aspettavano, Angelica per affettazione e Concetta per mancanza d'appetito". Eccoci con l'immaginazione, in un salto nel passato, seduti a tavola con Fabrizio Salina e i suoi commensali che "manifestarono il loro sollievo in modi diversi...L'oro brunito dell'involucro, la fragranza di zucchero e di cannella che ne emanava, non erano che il preludio della sensazione di delizia che si sprigionava dall'interno quando il coltello squarciava la crosta: ne erompeva dapprima un fumo carico di aromi e si scorgevano poi i fegatini di pollo, le ovette dure, le sfilettature di prosciutto, di pollo e di tartufi nella massa untuosa, caldissima dei maccheroncini corti, cui l'estratto di carne conferiva un prezioso color camoscio. " Ma come si prepara questa leccornia abilmente descritta da Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel suo libro tradotto in tutto il mondo "Il Gattopardo"? E' questa una delle domande alle quali risponde il volume "Il banchetto del Gattopardo. A tavola con l'aristocrazia siciliana" scritto da Elena Carcano diplomata chef amatoriél presso la Commanderie des Cordons Bleu che analizza anche le ricette descritti da altri testimoni.

"La raffinatezza quasi eccessiva che caratterizza gli ultimi bagliori della nobiltà siciliana è divenuta essa stessa un classico, grazie soprattutto al romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, che ha descritto meglio di chiunque altro gli individui, le consuetudini, gli scenari, i cibi di quell'aristocrazia feudale ormai in declino, nell'epoca dell'affermarsi della società moderna. - afferma l'autrice - Le ricette sontuose ed elaborate tratte dalle descrizioni del celebre Gattopardo, unite ad altre attinte alla vasta memorialistica dell'aristocrazia siciliana, diventano così un piccolo tributo a un mondo raffinato e decadente che non perderà mai il suo fascino, e che possiamo nostalgicamente rievocare portando in tavola un lussureggiante timballo". Descritte con tanto di ingredienti nel libro una serie di pietanze che sono diventate leggende culinarie. Tra queste il famoso "Trionfo di gola". Fulco di Verdura nel suo " Estati felici" racconta : "Tanto a Natale che a Pasqua le monache dei diversi conventi che ancora esistevano ci mandavano le loro specialità culinarie.

Dolci dalle più svariate qualità…In qualche grande occasione si ordinava, da non so più quale speciale convento, il maestoso "Trionfo di gola", non tento di descriverlo perché il solo nome parla per se stesso, ma mi sembrava coperto di ogni ben di Dio ." Aggiunge Dacia Maraini nel suo "Bagheria": "Una montagnola verde fatta di gelatina di pistacchio, mescolata alle arance candite, alla ricotta dolce, all'uvetta e ai pezzi di cioccolata", diceva mia madre…Si squaglia in bocca come una nuvola spandendo profumi intensi e stupefacenti. E' come mangiarsi un paesaggio montano, con tutti i suoi boschi, i suoi fiumi, i suoi prati; un paesaggio reso leggero e friabile da una bambagia luminosa che lo contiene e lo trasforma, da gioia degli occhi a gioia della lingua. Si trattiene il respiro e ci si bea di quello straordinario pezzo di mondo zuccherino che si ha il pregio di tenere sospeso sulla lingua come il dono più prezioso degli dei". Ma non basta nel libro vengono esaminati altre pietanze come il consommé, i maccheroni di zito alla siciliana, la pasta con le sarde, la parmigiana e la caponata di melanzane, le sarde a beccafico, i muffoletti, la gelatina al rhum, gelo di mellone, e le paste delle vergini: "dolcetti a forma di piccolo seno nati nel monastero di Montevergine a Palermo o elaborati da una suora in occasione delle nozze del figlio dei marchesi di Sambuca. Di queste, Don Fabrizio si chiedeva "Come mai il Santo Uffizio, quando lo poteva, non pensò a proibire questi dolci?". Ma a questo interrogativo non otterremo risposte. (ANSA).

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