L’Italia dei terremoti non è divisa in due in modo così netto come si pensava: Nord-Est e Centro, nonostante siano caratterizzati rispettivamente da terremoti di tipo compressivo, in cui le faglie si avvicinano tra loro, e di tipo distensivo,nei quali invece le faglie si allontanano, sono più simili di quanto si ritenesse finora per quanto riguarda il rapporto tra numero di scosse grandi e piccole osservate in passato e dunque attese in futuro. Lo indica lo studio dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, pubblicato sulla rivista Communications of Earth and Environment, E' la prima ricerca fatta in Italia a adottare un approccio innovativo, che combina i dati statistici con quelli ottenuti tramite i satelliti.
“La suddivisione del territorio nazionale in due macro-zone è stata ottenuta in modo indipendente con i dati satellitari, invece che con quelli sugli eventi sismici registrati tra 2005 e 2022”, spiega all’ANSA Matteo Taroni, autore dello studio insieme a Michele Carafa: “Abbiamo poi utilizzato calcoli statistici per confermare che questo approccio risulta più attendibile rispetto a quelli precedenti, che spezzettavano il territorio in aree più piccole”.
In questo modo, i due ricercatori hanno evidenziato che il rapporto tra eventi sismici di lieve e di forte entità è effettivamente diverso per le due zone, ma nello stesso tempo è molto più simile di quanto si pensasse. Poiché questo rapporto è uno dei parametri fondamentali utilizzati per la stima della pericolosità sismica di un territorio, “il nostro risultato ha implicazioni per la messa a punto delle mappe di pericolosità, consentendo stime più precise”, afferma ancora Taroni. “Ma perché questo approccio possa essere utilizzato, dovranno essere effettuati altri studi che ne confermino l’attendibilità”.
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