Il virus responsabile di Covid-19, Sars-CoV-2, ha una forte affinità con le polveri sottili, che sono una delle cause dell’inquinamento atmosferico: uno studio dell’Università di Roma Tor Vergata e dell’Enea, pubblicato sulla rivista Science of The Total Environment, ha infatti evidenziato che la proteina Spike del virus, la chiave molecolare che questo usa per entrare nelle cellule, si lega molto facilmente al PM 2.5, cioè quelle minuscole particelle di smog che hanno dimensioni minori o uguali a 2,5 micron (millesimi di millimetro). Resta però da capire se questa affinità facilita la diffusione di Sars-CoV-2, trasportandolo nell’aria, o se invece ne causa la cattura e l’inattivazione.
“Durante la fase iniziale della pandemia la Lombardia e, in generale, tutta l’area della Pianura Padana sono state colpite più duramente dall’infezione virale rispetto al resto del Paese”, dice Caterina Arcangeli dell’Enea, co-autrice dello studio guidato da Alice Romeo dell’Università Tor Vergata. “Parliamo di una parte d’Italia tra le più inquinate e questo ha portato la comunità scientifica a ipotizzare un possibile ruolo del particolato atmosferico nella diffusione del virus”. Per mettere alla prova questa ipotesi, i ricercatori hanno verificato la presenza del virus sui filtri per il PM 2.5 presenti nella città di Bologna, e hanno poi eseguito simulazioni grazie al supercomputer Cresco6 dell’Enea, in grado di effettuare 700mila miliardi di operazioni matematiche al secondo.
“L’affinità tra PM 2.5 e Sars-CoV-2 è plausibile – spiega Arcangeli – ma la simulazione non permette di valutare se queste interazioni siano sufficientemente stabili per trasportare il virus nell’atmosfera, o se questo mantenga la sua infettività dopo il trasporto. La possibilità che il virus possa essere ‘sequestrato’ dal PM, con conseguente riduzione di infettività e diffusione, o inattivato da questa forte interazione con il particolato non può essere quindi esclusa”.
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