Procede a macchia di leopardo la lotta all'Hiv e il Piano nazionale Aids viene applicato in maniera moto difforme sul territorio. Gli ultimi dati disponibili, relativi al 2019, mostrano che solo metà delle Regioni lo ha recepito con Delibere regionali e molti sono i ritardi in termini di comunicazione, accesso ai test e percorsi di presa in carico dei pazienti. Una partenza lenta che fa trasparire ancora oggi diverse velocità e priorità regionali. Questi i risultati del progetto Apri-Aids Plan Regional Implementation, svolto dalla SDA Bocconi School of Management con il contributo di Gilead Sciences, presentati nel corso dell'evento "L'HIV 40 anni dopo".
In Italia, si stima siano circa 120.000 le persone affette da Hiv, di queste circa 100.000 sono state diagnosticate (83%) ma le rimanenti 20.000 (17%) sono ancora in attesa di fare il test, con il rischio di aggravamento dell'infezione e di contagio ad altri. Dal monitoraggio Bocconi sullo stato di attuazione del Piano Nazionale Aids 2017-19 emerge che, nel 2019, solo nel 38% delle Regioni era attiva la Commissione regionale Aids, solo il 37% aveva realizzato campagne di comunicazione ad hoc. Mentre solo il 28% aveva definito un Percorso diagnostico terapeutico assistenziale (Pdta) per l'Hiv.
"La pandemia Covid-19 non può più rappresentare un ostacolo al trattamento delle altre patologie, specialmente quelle croniche come l'Hiv su cui pesano maggiormente i ritardi di presa in carico", commenta Claudio M. Mastroianni, presidente Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (Simit) e professore ordinario di Malattie Infettive presso Sapienza Università Roma. "L’implementazione del Piano – conclude - è non solo auspicabile, ma necessaria per far fronte alle sfide dell'Hiv che necessita di un modello rafforzato di presa in carico, dalla diagnosi, all'accesso alle cure fino alla gestione del follow up, integrando i centri specialisti con la rete territoriale".
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