I pazienti con una malattia del fegato grave ha un rischio di morire di Covid-19 da 2 a 4 volte maggiore rispetto alla popolazione generale, e andrebbero quindi protetti con il vaccino quando sarà disponibile. Lo ha affermato Antonio Craxì, Direttore della Scuola di Gastroenterologia dell'Università degli Studi di Palermo, durante il webinar "Covid-19 e malattie epatiche'.
"Fra le cose che la pandemia ci ha insegnato - ha spiegato Craxì, c'è che il paziente con malattia di fegato avanzata è particolarmente fragile, e il suo rischio di morire con il Covid-19 è da due a quattro volte più alto. Questo pone un problema nella prospettiva di avere un vaccino, queste persone andranno prioritizzate, fra le prime a riceverlo ci dovranno essere quelle con cirrosi".
Nei pazienti con Covid e malattie epatiche, ha sottolineato l'esperto che ha coordinato l'evento organizzato con il contributo di Gilead Sciences, le linee guida internazionali raccomandano di continuare eventuali terapie antivirali in corso, mentre il trattamento va ritardato se non è ancora iniziato e il paziente non è cirrotico. "Bisogna poi prendere delle precauzioni per evitare che alcune procedure particolarmente a rischio, come le endoscopie, non diventino fonte di contagio - aggiunge Craxì -. C'è però l'esigenza di ripartire, di ritrovare una normalità. Sull'epatite C ad esempio se si ferma per 6 mesi il programma di eradicazione ci sarà un accumulo di nuovi casi che pagheremo più avanti".
In collaborazione con:
Gilead