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Talassemia, terapia genica libera da trasfusioni 90% malati

Locatelli, ora si può parlare di guarigione

Redazione ANSA ROMA

Il 90% dei pazienti con talassemia beta curati con una terapia genica che corregge l’errore alla base della malattia smette di aver bisogno di trasfusioni per almeno un anno. È il risultato di uno studio condotto in nove centri, tra cui l’Ospedale Bambino Gesù di Roma, pubblicato sul New England Journal of Medicine. La sperimentazione, partita nel 2016 ha coinvolto nove centri tra Italia, Francia, Germania, Tailandia, Regno Unito e Usa. 23 i pazienti con beta talassemia coinvolti, tutti dipendenti dalla trasfusione all’inizio dello studio: 8 bambini con meno di 12 anni e 15 dai 12 ai 50 anni.

La beta talassemia è dovuta a mutazioni a carico del gene HBB che possono causare una ridotta o assente sintesi delle catene beta dell’emoglobina, la molecola responsabile del trasporto dell’ossigeno nel sangue. La terapia genica oggetto dello studio si chiama Betibeglogene autotemcel o beti-cel, ed è già stata approvata come farmaco orfano dall’Agenzia per i farmaci europea; corregge questo difetto nelle cellule staminali ematopoietiche del paziente, che, una volta prelevate e modificate, vengono reinfuse nel malato.

La sperimentazione ha mostrato un aumento della produzione di emoglobina in tutti i malati arruolati. In 20 dei 22 pazienti valutati (91%), la produzione di emoglobina era tale da liberarli dalla trasfusione per almeno un anno, in alcuni casi quasi per due anni. Il trattamento si è dimostrato efficace anche nei bambini al di sotto dei 12 anni: 6 su 7 non hanno avuto bisogno di trasfusione. Anche i due pazienti che, nonostante la terapia, hanno continuato ad aver bisogno delle trasfusioni, hanno comunque ridotto il fabbisogno di sangue: uno del 67,4% e l’altro del 22,7%.

“Questi dati suggeriscono che nella maggior parte dei pazienti con beta talassemia dipendente da trasfusioni, una sola infusione di beti-cel è potenzialmente curativa”, concludono i ricercatori.

"Quando si hanno dei dati di follow up così importanti si può parlare di guarigione". Franco Locatelli, direttore del dipartimento di Onco-Ematologia e Terapia Cellulare e Genica dell'Ospedale Bambino Gesù di Roma, così commenta all'ANSA i dati della sperimentazione pubblicati oggi sul New England Journal of Medicine che hanno mostrato l'efficacia di un approccio di terapia genica contro la beta talassemia. Il Bambin Gesù ha contribuito in maniera consistente alla sperimentazione, trattando un terzo dei pazienti arruolati.

Locatelli è il primo firmatario dello studio, “che ha documentato come la terapia genica, intesa come addizione di più copie sane del gene ammalato, sia stata in grado di determinare l’indipendenza trasfusionale nel 90% dei soggetti trattati”, spiega. “Il trattamento è stato inoltre in grado di determinare il raggiungimento di valori di emoglobina molto consistenti in una percentuale elevata dei pazienti che hanno ottenuto l’indipendenza trasfusionale. Questo risultato è persistente nel tempo”.

Il Bambin Gesù ha contribuito in maniera consistente alla sperimentazione, trattando un terzo dei pazienti arruolati: “il primo era un ventitreenne pugliese, poi ne sono venuti altri sei” ricorda Locatelli.

Attualmente la terapia oggetto dello studio (betibeglogene autotemcel) è approvata dall’Ema per le persone dai 12 anni in su con una specifica caratteristica genetica (genotipo non–beta0/beta0) che hanno bisogno di trasfusioni e non abbiano condizioni incompatibili con il trapianto (per esempio problemi cardiaci o epatici). Lo studio ha però mostrato ottimi risultati anche nei bambini con meno di 12 anni: “è quindi prevedibile che le agenzie regolatorie estendano le indicazioni anche ai bambini più piccoli”, dice ancora Locatelli. L’accesso al farmaco, tuttavia, al momento è complicato da disaccordi sul prezzo di rimborso tra l’azienda che ha sviluppato il prodotto e le agenzie del farmaco europee.

La terapia genica, tuttavia, non è l’unica terapia avanzata potenzialmente risolutiva della talassemia beta: “Abbiamo sviluppato un approccio basato sull’editing del genoma, attraverso cui viene riattivata la sintesi dell’emoglobina fetale”, conclude Locatelli. "Anche con questa strategia abbiamo ottenuto risultati importantissimi: tuti i pazienti trattati hanno smesso di ricevere supporto trasfusionale”.


    (ANSA).
   

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