(di Francesco De Filippo)
(ANSA) - TRIESTE, 27 AGO - MARIO COLUCCI e PIERANGELO DI
VITTORIO, "FRANCO BASAGLIA" (ab Alphabeta; 333 pagg.; 16 euro)
Durante la guerra una bomba era caduta sul manicomio di Ancona e
la maggior parte dei malati era fuggita, ma nessuno ebbe il
tempo di capire dove fossero i matti. Soltanto finito il
conflitto qualcuno cominciò a chiedersi dove erano finiti. Molti
non furono trovati ma alcuni lavoravano vicino al manicomio,
come qualsiasi altra persona. L'episodio - semplice, elegante e
folgorante - fu raccontato nel 1979 da Franco Basaglia a Rio de
Janeiro nell'ambito di un ciclo di conferenze e sintetizza
l'ipotesi che un'altra psichiatria era possibile.
Lui il suo obiettivo principale - chiudere i manicomi - lo aveva
già raggiunto l'anno prima, nel 1978, con la promulgazione della
nota Legge 180, lasciando il mondo a bocca aperta.
L'esperienza dello psichiatra veneziano, la sponda politica
trovata a Trieste nell'amministrazione provinciale di Zanetti,
il suo calibro di intellettuale e i rapporti internazionali che
aveva intessuto sono il tema di "Franco Basaglia", la prima
biografia sullo studioso che lo psichiatra Mario Colucci e il
filosofo Pierangelo Di Vittorio, che a Trieste da decenni,
stimolati da un giovane psicanalista di nome Massimo Recalcati e
sotto la supervisione della moglie di Basaglia, Franca Ongaro,
pubblicarono nel 2001. Quest'anno, in occasione dei 40 anni
della scomparsa di Basaglia, la ab Alphabeta Verlag la riedita
aggiornata nel corpus di note e arricchita di quanto sull'
argomento è stato pubblicato negli ultimi venti anni e di una
introduzione dello psichiatra teorico Eugenio Borgna, oggi
novantenne.
Quel Basaglia nell'arco di pochi anni - praticamente cacciato da
Padova e operando tra Gorizia, Parma e Trieste - stimolato dalla
fenomenologia di Minkowski, e dal confronto con Sartre, Foucault
(Storia della follia), Goffman (Asylums), Fanon, aveva bruciato
le tappe e superato perfino il collega inglese, Maxwell Jones,
che, insistendo sulla possibilità di un trattamento diverso odei
malati di mente che non contenzione, privazioni, isolamento,
sembrava all'avanguardia. In Inghilterra come in Francia in
quegli anni si stava trasformando il rapporto tra medico e
paziente. Una antica tradizione: nel 1839 per la prima volta
John Connolly aveva aperto le porte dell'ospedale psichiatrico
ed eliminato i mezzi di contenzione fisica. Tracce episodiche di
comprensione del fenomeno.
E' così che oggi, come indica proprio Borgna, "la psichiatria
che è possibile fare in Italia è la migliore delle psichiatrie
possibili: è l'eredità che ci ha lasciato Basaglia". Questa ha
fatto da traino a tutta la psichiatria, dandole connotati di
"gentilezza e umanità".
Lo psichiatra veneziano si impadronì dell'intuizione
fenomenologica di Husserl della 'epoché', sospensione del
giudizio, per trascurare la diagnosi e concentrarsi sull'uomo
malato di mente prima che sul paziente.
"La posizione di Basaglia è 'intenibile', non intendeva
riformare ma distruggere i manicomi e aprire i servizi",
racconta oggi Colucci. "Un medico con un paziente esercita un
potere, questo spesso si dimentica con la scusa terapeutica,
bisogna invece entrare in relazione, ma è più faticoso che non
usare farmaci e coercizione. Oggi i giovani non hanno pazienza e
non hanno nemmeno tempo. C'è la medicalizzazione della società,
della psichiatria, non si capisce che il tema non è limitato
alla scienza", indica. Ma come si trasmette l'eredità di
Basaglia senza renderla monumento? "Va contaminata con altre
discipline. Chi arriva qui oggi a Trieste nemmeno sa cosa sia
accaduto qua. Quando, arrivati a Trieste, proponevamo seminari
su Basaglia c'era sorpresa e interesse, parlavamo di Basaglia
come un autore, sembrava una cosa sacrilega". (ANSA).