A pochi mesi dall'entrata in vigore del Supply Chain Due Diligence Act, avvenuta all’inizio dell’anno, il Gruppo Volkswagen non ha ancora riscontrato alcuna concreta violazione dei diritti umani, anche se “sono stati identificati rischi e casi sospetti specifici” lungo tutta la catena di fornitura. Lo ha detto Kerstin Waltenberg, responsabile dei diritti umani dell’azienda che, nella presentazione del primo rapporto annuale, ha ribadito che su questo tema "c’è ancora potenziale di miglioramento”.
Nel commentare questa notizia riferita dall'agenzia Dpa, l'autorevole magazine tedesco Automobilwoche ricorda che quella che è entrata in vigore all’inizio del 2023 è la legge tedesca sulla catena di fornitura che riguarda le aziende con più di 3.000 dipendenti. Queste hanno l’obbligo di garantire il rispetto dei diritti umani in tutta la loro produzione e devono presentare una relazione annuale in merito. "Il nostro obiettivo è attuare la legge nel miglior modo possibile quest'anno - ha affermato la Waltenberg - e l’anno prossimo vogliamo andare oltre i requisiti minimi legali".
Come si legge nel rapporto di Automobilwoche, una delle aree critiche è il controverso stabilimento di Urumqi, nella provincia cinese dello Xinjiang. Secondo Volkswagen la fabbrica non è soggetta alla legge perché non è gestita dal Gruppo di Wolfsburg ma da una joint venture con il produttore cinese Saic. "Non è per questo che ignoriamo il problema - ha sottolineato la Waltenberg - e stiamo cercando lì". Nella scorsa estate lo stesso ceo di Volkswagen AG Oliver Blume aveva annunciato che entro la fine dell'anno verrà effettuato un audit indipendente sullo stabilimento di Urumqi, aperto nel 2013, impianto che è stato oggetto di critiche per possibili violazioni dei diritti umani.
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