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Ragazzi senza sport e senza squadra, come superare la crisi

Ragazzi senza sport e senza squadra, come superare la crisi

Gli allenatori punto di riferimento, magari in videochat

10 maggio 2020, 10:09

di A.M.

ANSACheck

Bambini in allenamento sportivo. foto courtesy Laureus Italia - RIPRODUZIONE RISERVATA

Bambini in allenamento sportivo. foto courtesy Laureus Italia - RIPRODUZIONE RISERVATA
Bambini in allenamento sportivo. foto courtesy Laureus Italia - RIPRODUZIONE RISERVATA

Un contatto a distanza, una squadra che prova a restare compatta nonostante in conseguenza della pandemia tutte le scuole sportive per i bambini e i ragazzi e tutti i campionati juniores si siano dovuti fermare. E' la sfida di decine e decine di allenatori, spesso dei veri punti di riferimento psicologici per i giovani in crescita. Dagli allenamenti più volte a settimana al nulla: niente più spogliatoio, niente più partite di qualunque sport ma chi soffre di più sono coloro che praticano attività in squadra come basket, calcio, pallanuoto. Tra gli effetti collaterali con cui fare i conti in questa inattesa situazione c'è anche questo: il vuoto di pomeriggi per chi, e sono migliaia, era abituato all'impegno sportivo. I più grandicelli si sono organizzati: videochat di allenamento in casa per mantenersi in forma ma certo non è la stessa cosa che scendere in campo. Chi li allena ha un ruolo di fatto di formazione, non solo dal punto di vista sportivo: consigli alimentari, psicologici, comportamentali. In tanti si sono messi in collegamento con i loro piccoli giocatori, li sentono al telefono e cercano di restare di supporto in attesa di tempi migliori.
«La mia metodologia è da sempre orientata al monitoraggio del progetto educativo di squadra, considerato in ognuna delle sue cinque grandi aree di interesse, che riguardano la qualità della relazione tra il gruppo e l’allenatore, la capacità relazionale tra i membri del gruppo, la capacità di comprensione e rispetto delle regole, le competenze tecnico-motorie e quelle emotive. Mancando adesso il contatto diretto il nostro compito si è complicato perché il nostro vero strumento di lavoro, sebbene trasversale, è lo sport praticato all’aperto o nelle palestre. Ciò che possiamo fare ora è un intervento contenitivo fondato sul sostegno emotivo» ci confida Gabriele Manca, attivo a Ostia e nei quartieri romani di Corviale e dell’Esquilino, membro della  Fondazione Laureus Sport for Good che interviene con la sua squadra di psicologi dello sport, educatori, maestri e allenatori, nelle periferie di Milano, Torino, Genova, Roma, Napoli con l’obiettivo di sostenere i minori a rischio di devianza attraverso l’uso positivo della pratica sportiva. Nella stagione 2019-2020 sono stati 85 gli insegnanti e allenatori coinvolti nei progetti sul territorio, che hanno interessato 39 scuole e società sportive e ben 1945 bambini. «Il nostro principale obiettivo è far sì che gli insegnanti e soprattutto gli allenatori non perdano di vista i loro allievi, a partire da quelli più in difficoltà, mantenendo con loro un contatto continuo che li aiuti a utilizzare il tempo in maniera costruttiva».
Si sta prodigando Marco Ciceroni, allenatore di minibasket a Ostia: «Il mio è per definizione uno sport di squadra e fare gruppo rimanendo ognuno a casa propria è molto difficile. Però ci attiviamo promuovendo alcune iniziative, in cui chiediamo ai bambini di filmarsi mentre compiono alcuni esercizi con la palla e salutano la squadra. Abbiamo inoltre promosso delle video-conferenze, ma non tutte le famiglie hanno la linea internet per partecipare a queste iniziative».
Si sta ingegnando per portare avanti la sua attività, che in periodi di emergenza assume la dimensione di una missione, anche Stefano Frate, maestro di judo della A.S.D. Spartacus coinvolto nel progetto Laureus di Milano. «Il judo ha bisogno di un luogo (il Dojo) in cui allenarsi e compagni per la pratica. Nonostante siano venute meno queste due premesse fondamentali non ci siamo scoraggiati. La voglia di stare insieme ha prevalso. Riusciamo a fare gruppo tramite computer, tablet, smartphone, whatsapp. Ci siamo inventati un Tatami con tappetini, cuscini e coperte di casa e ci facciamo bastare il nostro Jūdōgi (l’abbigliamento dei judoka, ndr) per poter imparare o ripassare qualche esercizio. Capita spesso, con mio grande piacere, che alla fine della lezione online, i bambini rimangano collegati per chiacchierare tra di loro, ridere e scherzare, proprio come succede nello spogliatoio a fine lezione. Anche le famiglie sono contente. Nei giorni successivi all’allenamento i bambini sono felici e il loro buonumore è contagioso per i loro genitori».
In questo periodo di quarantena forzata emerge con maggiore prepotenza anche l’importanza di essere autorevoli e di esempio per i più piccoli come afferma con malcelato orgoglio Massimo Portoghese, allenatore di karatè nel quartiere napoletano di Scampia. «In questa emergenza i bambini si aggrappano ulteriormente a noi, additandoci come modelli da seguire. Comprendono pienamente che le persone che stimano non possono essere sostituite da nessun tipo di tecnologia e che solo l’unione e la condivisione possono essere le chiavi per uscire da questo incubo». La speranza è che nel futuro i momenti di aggregazione saranno riconosciuti come un dono e ogni volta che potremmo trascorrere il nostro tempo ad allenarci e a fare sport insieme avremmo trascorso tempo di valore che lascerà una traccia positiva indelebile.

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