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Società & Diritti

Curvy Pride, la bellezza non ha taglia. Il movimento contro la dittatura zero cresce.

Flash mob per 500 a Milano, taglia la taglia. Alessia, così sono guarita dai disturbi del comportamento alimentare

Il Curvy Pride #taglialataglia alla Moda: oltre 500 persone a Milano per la bellezza senza stereotipi © Ansa
  • Redazione ANSA
  • 08 giugno 2015
  • 17:21

(di Alessandra Magliaro) (ANSA)

Curvy Pride, ossia la bellezza non ha taglia, specie se è una zero. Superare gli stereotipi imposti dai mass media è quasi una battaglia di civiltà perchè sui modelli dominanti della moda, spesso irraggiungibili, si corrono rischi gravi soprattutto con le giovani generazioni, in termini di disturbi del comportamento alimentare e di autostima. Del tema si parla molto e si comincia anche a fare qualcosa, intanto a indignarsi se uno stilista (Saint Laurent qualche giorno fa) vuole modelle scheletriche per la sua pubblicità. A Milano, nell'ambito di Expocittà, erano in oltre 500 il 6 giugno per il terzo flashmob taglialataglia, un modo anche spiritoso per  affermare la pluralità dei modelli di bellezza, sensibilizzare i cittadini ad un rapporto con il cibo e il proprio corpo di amore e salute. L'evento, ideato a Bologna dall’imprenditrice e blogger Marianna Lo Preiato, ribadisce quattro concetti fondamentali:

1) La Bellezza non ha taglie
2) Più moda per tutti i tipi di donna
3) No alla taglia zero per le modelle
4) La Moda non può essere discriminatoria

Sul fucsia carpet i presenti sono stati invitati a sfilare per sottoporsi al taglio dell’etichetta e liberarsi provocatoriamente della taglia e dello stereotipo che li identifica con un numero. La performance #taglialataglia è durata circa 30 minuti, con oltre 300 persone coinvolte che hanno “tagliato” etichette dalla 36 alla 56; hanno contribuito anche persone di varie nazionalità tra cui olandesi, francesi, americani, indiani e ungheresi. Tutto nel cuore dello shopping milanese, davanti agli store dei grandi brand global e a due passi dal quadrilatero della moda lanciando un segnale forte all’industria fashion.

Guarda il video:

Curvy Pride, da movimento spontaneo nato nel 2013 è diventato un’Associazione di Promozione Sociale, con sede a Bologna. Lo ha ideato Lo Preiato ma è molto sostenuto sui social, c'è tutta una community collegata con vari blog noti, come Morbida è la vita di Giorgia Marino, Uomini di peso di Alessandro Carella, Beauty with plus di Zsuzsanna (Susie) Szkiba, Beautiful Curvy di Barbara Christmann, RobyBerta Smile Maker di RobyBerta. E' diventato anche la prima Associazione Italiana che ha come obiettivo la promozione della pluralità dei modelli di bellezza, per diffondere il messaggio “la bellezza non ha taglia” attraverso incontri ed eventi, raccogliere fondi da destinare alle associazioni che si occupano dei disturbi del comportamento alimentare, aiutare le persone che vivono con disagio il rapporto con il proprio corpo, diffondere la filosofia Curvy, intesa come libertà di amare il proprio corpo a prescindere dalla taglia o dal peso.

Tante le testimonianze sul tema che sono raccolte nel sito. Abbiamo scelto questa, significativa e toccante: 

Mi chiamo Alessia Arcidiacono, ho 29 anni e ho sofferto per dodici anni di disturbi del comportamento alimentare, patologia grave e sempre più diffusa; odiavo il mio corpo e lo vedevo sempre troppo grasso, sempre troppo “sbagliato”, anche quando pesavo 40 kg. Per tutti gli anni della malattia sono stata seguita da diversi specialisti, ma non in modo continuativo perché, in un certo senso, avevo paura di guarire: quando il percorso di cura cominciava a diventare “più serio” io lo abbandonavo perché avevo paura di mettermi in gioco e di guarire da una malattia che era la mia “coperta di Linus”; sentivo che senza la sicurezza della malattia non avrei avuto nient’altro nella vita. E invece, per fortuna, mi sbagliavo. La svolta principale del mio percorso è avvenuta quando ho cominciato l’università e mi sono iscritta alla facoltà di Antropologia Culturale ed Etnologia. Ho scelto di iscrivermi a questa facoltà senza un motivo preciso, solo perché mi piacevano alcuni esami. Oggi penso di aver fatto una delle scelte migliori della mia vita e la rifarei altre 1000 volte: l’antropologia è diventata la mia passione e anche la chiave per la mia guarigione. Ho scelto infatti di scrivere la mia tesi di laurea triennale sui disturbi del comportamento alimentare e di affrontare la malattia con gli strumenti che avevo acquisito durante il mio percorso di studi. Analizzare il corpo e la malattia da un punto di vista antropologico mi ha aiutata a capire che il modo in cui io vedevo e vivevo il mio corpo non era “naturale”; quello che io vedevo era il modo in cui la società voleva che io mi vedessi, era il frutto di una tortura alla quale siamo tutti costantemente sottoposti: nessuno è mai abbastanza.

Oggi sono un’antropologa e il mio interesse principale è il corpo dell’uomo, in tutte le sue dimensioni e in tutti i suoi colori! Non studio il corpo da un punto di vista biomedico, considerandolo cioè solo come un’entità organica e biologica, ma analizzo come l’uomo usa il suo corpo nelle diverse società e nelle diverse culture, come lo rappresenta, come lo percepisce e soprattutto come lo vive. Nel 1936 l’antropologo francese Marcel Mauss, in uno studio diventato in seguito una pietra miliare dell’antropologia, definì il corpo come “il primo strumento dell’uomo”, e i suoi comportamenti e le sue abitudini fisiche come “tecniche del corpo”. Questo studio aprì le prospettive sociologiche e antropologiche dell’epoca perché significava “liberare” il corpo dal dominio della biologia e della biomedicina. In un momento storico predominato dalla prospettiva evoluzionista, prospettiva che vedeva nel corpo e nelle sue differenze i segni di una differenza di umanità (è utile ricordare che questi postulati porteranno alla formulazione delle leggi razziali e della superiorità della razza), Mauss “liberò” il corpo da queste costrizioni, facendo capire al mondo che, in realtà, il modo in cui usiamo, rappresentiamo, e soprattutto, viviamo il nostro corpo non è “naturale” ma socialmente e culturalmente costruito. Queste parole potranno sembrare inusuali e persino insensate per chi non conosce l’antropologia, ma per me sono state una cura.

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