La frase sussurrata per un celebre spot "Oui, je suis Catherine Deneuve" la accompagnerà anche nel giorno del suo ottantesimo compleanno: un motto araldico, stemma di luce pura che designa una delle rare e irripetibili dive del cinema europeo. Più longeva (artisticamente) di Brigitte Bardot, più irraggiungibile e misteriosa di Sophia Loren, più iconica e irriverente di tanti prodotti dello star system, Catherine Fabienne Dorléac, in arte Deneuve, arriva domani al porto di un anniversario tanto difficile quanto celebrato con la leggerezza che ha appreso nel corso di una vita lunga e piena. "Magari potessi solo recitare - ha detto - senza parlarne mai. Credo che la mappa dei miei film, e i passaggi dall'uno all'altro, raccontino di me più di quanto potrei mai fare io".
Catherine nasce a Parigi il 22 ottobre 1943 nella "cité des fleurs", il quartiere della buona borghesia e della gioventù ribelle tra l'Arco di Trionfo e Place Clichy. È figlia di due attori e suo padre Maurice è il direttore di doppiaggio della Paramount. Nasce in una città controllata dai nazisti, ma quasi subito travolta dall'entusiasmo per l'arrivo dei liberatori americani e del Generale De Gaulle. È la terza di quattro figlie e fin da ragazzina - insieme alla sorella maggiore Françoise - incontra il cinema come doppiatrice nelle pellicole americane esportate in Francia. Sarà Françoise a trascinarla sul set la prima volta, quando ha solo 13 anni, per una breve apparizione ne "Le collegiali" di André Hunebelle. Tre anni dopo accetta, senza entusiasmo, il primo ruolo in "La ragazza super sprint" di Jacques Poitrenaud. Sceglie un nome d'arte - il cognome della madre per non dare ombra a Françoise - quando è addirittura Mel Ferrer a imporla nel film successivo perché "gli ricorda Audrey Hepburn". Nel 1961 incontra su un set Roger Vadim, se ne innamora, va a vivere con lui e con lui darà il primo figlio, Christian. La relazione è tempestosa e poco duratura nonostante sia il compagno-pigmalione a dirigerla verso il successo ("Il vizio e la virtù", 1963).
A quel punto però Deneuve ha già imparato a camminare da sola grazie a Jacques Démy che l'ha scelta come protagonista di "Les parapluies de Cherbourg", trionfale musical premiato a Cannes nel 1964. Il sodalizio si ripeterà nel 1967 con "Les demoiselles de Rochefort" a fianco della sorella di cui Catherine interpreta in scena la gemella. Difficile dire come si snodi in quel periodo, e anche dopo, la sua vita sentimentale. Ha lasciato Vadim e sposerà nel 1965 il fotografo inglese David Bailey. Nel frattempo però subisce il fascino di Roman Polanski che la convince a interpretare l'enigmatico ruolo dell'assassina schizofrenica nel suo primo film inglese, "Repulsion", applaudito dalla critica e premiato con l'Orso d'argento a Berlino nel 1965. Dopo il drammatico lutto per la morte della sorella nel '67 e una crisi depressiva che sconfiggerà solo continuando a lavorare "come un automa" tra Italia e Francia, ha l'incontro artistico forse più significativo della sua vita: i produttori la impongono a Luis Bunuel in "Bella di giorno" del 1970 e qui costruirà il mito della bellezza algida e tenebrosa che resterà a lungo la sua immagine più definita. Film capace di sconcertare i moralisti, oggetto di scandalo nonostante il Leone d'oro, troverà un seguito ideale due anni dopo con "Tristana".
Intanto la duplicità algida di Deneuve (fredda e distante in pubblico quanto infuocata e pericolosa in privato) seduce François Truffaut che se innamora e le regala il ruolo hitcockiano di "La mia droga si chiama Julie" (1969). Anche questa volta si tratta di un fuoco intenso quanto breve che lascerà però il posto a un'amicizia e a un sodalizio artistico culminato nel trionfo di "L'ultimo metro" con Gérard Depardieu nel 1980. Intanto Deneuve ha vissuto l'amore più importante della sua vita. A presentarle Marcello Mastroianni (reduce dall'abbandono di Faye Dunaway) è proprio Roman Polanski e i due si incrociano poi sul set di "Tempo d'amore" diretto nel '71 da Nadine Trintignant. Avranno una figlia insieme - Chiara - costruendo una sorta di famiglia allargata con la moglie di Marcello e sua figlia Barbara; vivranno a Parigi per quattro anni e altrettante volte faranno coppia sullo schermo, spesso con Marco Ferreri regista. Catherine avrà poi una breve relazione con Gerard Depardieu (il suo migliore amico e partner in ben 10 film), il suo agente e banchiere Bertrand de Labbey, il patron delle tv Pierre Lescure. Oggi vive nel cuore di Parigi a due passi da Saint Sulpice.
Attrice camaleontica per eccellenza, già negli anni '70 aveva scoperto la sua vena da signora delle commedie ("Il mio uomo è un selvaggio" con Yves Montand resta il trionfo assoluto), è stata corteggiata ripetutamente da Hollywood senza mai subirne il fascino, ha sfiorato l'Oscar con il kolossal "Indocina" nel 1992, si è regalata l'ultima parte della carriera come musa del giovane cinema indipendente dando fiducia a talenti come Leos Carax e a debuttanti come Arnaud Desplechin o Emmanuelle Bercot, ma in André Techiné e Manoel De Oliveira ha trovato i suoi ultimi maestri. Iconica testimonial per il suo grande amico Yves Saint Laurent, vincitrice di un numero record di premi alla carriera, fumatrice accanita, sfacciata e ironica anche con se stessa, nemmeno un lieve ictus subito nel 2019 su set di Emmanuelle Bercot per "De son vivant" ha saputo fermarla. "Oggi - dice - scelgo solo con più cura i film che ho voglia di fare e mi curo del resto della vita che ho a disposizione". La pensione? Un miraggio lontano: il suo nuovo film, "Bernadette" sulla moglie del presidente Chirac è appena uscito sugli schermi parigini e ancora una volta ha sorpreso tutti.
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