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Tilda Swinton, non chiamatela carriera, cinema per me è la vita

Tilda Swinton, non chiamatela carriera, cinema per me è la vita

Camaleontica, anticonformista racconta a Venezia la fobia delle gabbie, anche sessuali

03 settembre 2020, 19:49

dell'inviata Alessandra Magliaro

ANSACheck

77th Venice Film Festival - RIPRODUZIONE RISERVATA

77th Venice Film Festival - RIPRODUZIONE RISERVATA
77th Venice Film Festival - RIPRODUZIONE RISERVATA

Per Tilda Swinton, camaleontica, indecifrabile, anticonformista, talentuosa, la definizione 'attrice' è da sempre un'accezione riduttiva, è molto altro che interprete di un copione. 59 anni, scozzese, ha visto il primo film ad otto anni e si è innamorata del cinema, ha esordito nel 1986 con Caravaggio di Derek Jarman e ogni volta pensa che stia per fare un ultimo film e ritirarsi "a curare il giardino, poi qualcuno mi tenta e torno sul set". Sul palco della Sala Grande martedì sera, nella cerimonia di apertura di Venezia 77 durante la quale ha accettato il Leone d'oro alla carriera, ha incantato il pubblico con una toccante elegia sul cinema. Alla masterclass, sold out da giorni, con uno di quei completi verde acido che solo lei porta con grazia, si è raccontata per un'ora, "rilassata, tranquilla, perché c'è interazione, e io invece, ogni volta che mi presento al pubblico, devo superare le mie paure, in genere sono timida" (chi lo avrebbe mai detto di Tilda?). "Mi commuove anche parlare del Leone d'oro ricevuto, ma voglio precisare che nella parola 'carriera' io proprio non mi riconosco, vorrei sostituirla con la parola 'vita', perché per me l'unico modo di sviluppare il cinema è stato ed è la vita: i registi, gli autori, con cui ho sempre lavorato sono miei amici cari, facciamo il film ma cuciniamo insieme, cresciamo insieme. E' stato così all'inizio con l'incontro con Derek Jarman, quando non mi consideravo un'attrice e invece mi ha coinvolto con la sua considerazione del performer, del lavoro collettivo, della condivisione e questo ha definito il mio futuro, io so lavorare solo così". Con l'autore inglese, visionario come regista e persino come giardiniere (il prato alla fine del mondo a Northwood), morto di Aids nel '94, Tilda Swinton ha girato otto film, tra cui Edoardo II che nel 1991 vinse la Coppa Volpi, incontrato decine di artisti, a cominciare da David Bowie, frequentato la Berlino di quegli anni ("per me nella mia testa c'è ancora la Berlino con il muro di quel tempo"). Per questo anche la definizione 'musa di' spesso accostata alla Swinton per Jarman, Luca Guadagnino, Jim Jarmush, Wes Anderson è riduttiva. "Ho conosciuto Luca - dice - appena dopo la morte di Jarman e non pensavo fosse possibile ritrovare qualcosa di simile, invece è stato un nuovo fratello e ho capito che è questo che mi muove". Ammette Tilda Swinton di passare per una "snob", "ma io non mi ritengo tale, né esclusiva. Il cinema per me significa sperimentazione e questo non capita solo nei film d'essai ma anche in quelli a grande budget dove magari, come in Cronache di Narnia, si fa un uso mai visto all'epoca degli effetti speciali. E scegliere se accettare o meno un copione per me parte da lì. Io sono innamorata del cinema, lo sono sempre stata, lo indosso persino - dice aprendo il giubbotto e mostrando una tshirt vintage del suo Caravaggio - e l'esperienza di andare ad un festival è per me un privilegio enorme". Tilda Swinton, che dell'ambiguità - a cominciare dal fantastico Orlando di Sally Potter, anche quello presentato a Venezia (1992) - ha fatto una sua caratteristica interpretativa, applaude alla decisione annunciata dal festival di Berlino di eliminare il maschile/femminile e puntare ad un premio genderneutral per la migliore interpretazione. "Finalmente, che sollievo. Brava Berlino! - dice - lo ritengo una cosa positiva. Le gabbie, le categorie, le divisioni che interessano agli esseri umani sono uno spreco, la vita è troppo breve per questo, dividere per classe, genere, etnia mi dà claustrofobia. Spero che altri festival seguiranno l'esempio". Anche l'età è per la Swinton una gabbia: "non capisco perché debba esserci una soglia per qualsiasi cosa, non riesco a comprendere le suddivisioni". Oltre che ricevere il Leone d'oro alla carriera Tilda Swinton è a Venezia protagonista, novella Anna Magnani, della Voce Umana, un mediometraggio di Pedro Almodovar dal testo di Cocteau. Tra i suoi progetti, oltre al doppiaggio di Pinocchio animato da Guillermo Del Toro, un film, con il Derek Jarman Lab, sull'apprendimento scolastico ispirato alla scuola steineriana da lei fondata e dove hanno studiato i suoi due gemelli. "Durante questo periodo di lockdown il tema scuola ha fatto tutti molto riflettere, dalle fratture, come quella che abbiamo vissuto durante la pandemia, penso che si debba ricavare l'opportunità di cambiare. Mi pongo la domanda: di cosa hanno e avranno bisogno i bambini? Flessibilità, autonomia, relax".

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