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People

John Travolta si racconta a Cannes, 40 anni dopo Grease

Un faccia a faccia con la critica e i fan l'evento della giornata

John Travolta © EPA
  • dell'inviata Alessandra Magliaro
  • 17 maggio 2018
  • 08:55

Più che una lezione di cinema, una lezione di vita. Carismatico, generoso, sicuro di sé, calmo, pacificato, al festival di Cannes due ore con John Travolta sono state un tempo prezioso per tornare indietro nel tempo e guardare al futuro con questo attore che dal 1977, l'anno della Febbre del sabato sera, è un fenomeno.

Il pubblico in fila ore prima, la sala Bunuel stracolma, risate, standing ovation e lui che continuava a rispondere a tutto, sorridente, acuto, simpatico. La famiglia in prima fila, la moglie Kelly Preston, la sorella Ellen, la manager e una piccola corte di amici, incluso il regista di 'Grease', Randal Kleiser, il film che, capricci del meteo permettendo, viene presentato nel cinema a la plage, sullo schermo gigante sulla spiaggia della Croisette, 40 anni dopo. 

Standing ovation per John Travolta - IL VIDEO

Tutta la carriera è passata nel pomeriggio, i successi e le cadute, "amo il rischio, quando decidi di fare una cosa, quando la scegli, quella è già una vittoria per il mio modo di vedere. Forse per questo - dice - con il pubblico ho stabilito un feeling particolare, una connessione unica, perché forse sentono, riconoscono il mio modo di essere che non è guidato dalla ricerca del successo, tanto meno dei soldi quanto piuttosto della sfida che mi pone davanti. Mi butto perché sono una persona che non ama avere rimpianti. Sanno che il mio lavoro è convincerli che sono in buone mani".

 Travolta ha raccontato di come a cinque anni, una madre attrice e regista di origine irlandese, un padre di origine siciliana commerciante con la passione per il cinema, è stato folgorato da Fellini. "Vidi La Strada, un colpo di fulmine, mi ha segnato per sempre", racconta. Da lì l'inizio precoce, piccole esperienze nei musical di Broadway, fino ad incrociare La febbre del sabato sera, la prima consacrazione. "Un'intera generazione ha avuto per simbolo Tony Manero e io mi sentivo bene in quei panni. Mi ero allenato duramente per diventare un ballerino, avevo appena 22 anni, mi sentivo fortissimo. La troupe ancora si ricorda l'energia specialissima su quel set".

Con quel film Travolta ebbe una consacrazione incredibile e l'anno dopo venne Grease. "Ieri ho incontrato Benicio Del Toro, mi ha confessato di averlo visto 14 volte! E' incredibile come sia un film senza tempo, un regalo per la mia generazione. Lo rivedi oggi e ancora ne apprezzi la freschezza. Tutti i film sono stati importanti per me ma questo ha un posto speciale.
Pensate: ogni anno a Los Angeles 20 mila persone pagano 7.5 dollari per rivederselo una volta". Dalla platea si alza una ragazza: "Mi chiamo Sandy. Mia madre che è qui in sala ha amato così tanto quel film da volermi chiamare come il personaggio di Olivia Newton John". Travolta neanche troppo stupito (sarà capitato altre volte) dice con la sua inconfondibile voce: 'Hye Sandy'. Brividi anni '70 in sala.
Ha vissuto up & down, rifiuti storici (American Gigolò che lanciò Richard Gere), sequel flop e rinascite grandiose. Come Pulp Fiction di Quentin Tarantino, Palma d'oro a Cannes nel '94 e candidato agli Oscar. "Quentin rischiò su di me e io con lui.
Un film eccezionale, un fenomeno culturale di enorme impatto, divertente, grandioso. Il successo di quel film mi ha permesso di scegliere tutto quello che è venuto dopo, ricevevo fino a 20 copioni nello stesso tempo. Io ho continuato a fare come sempre fidandomi della mia voglia di interpretare un ruolo, senza mai giudicarlo, senza dovermi sentire d'accordo con lui ma riuscendo ad incarnarlo, con la trasformazione fisica prima di tutto. Le parole che mi disse Marlon Brando sono rimaste di guida per me 'devi avere profonda fiducia in quello che fai, amarlo profondamente'". Ammette il ruolo di Scientology nel suo essere sereno, il supporto di una famiglia-comunità. Non parla dei suoi dolori (la tragedia del figlio Jett, morto a 16 anni nel 2009 forse per una crisi epilettica) ma piuttosto del suo stile di vita, "nessun lavoro ti dà garanzie ma solo la realtà e la tua abilità nell'affrontarla". Parla dei social e ne prende le distanze, "la tua storia è migliore del tuo iPhone", ha figli ancora piccoli come Ben di sette anni "e in questo mondo confuso hanno bisogno di una sola cosa: avere punti di riferimento e questo è il mio impegno". Continua ad amare il volo, "sono arrivato a Cannes guidando il mio aereo. E' una passione cui non intendo rinunciare", così come l'arte: cita Picasso e Calder, "l'arte ha questo potere immenso di connettere l'umanità e cambiarti la vita". In una proiezione speciale ha presentato al festival un altro dei suoi rischi, Gotti, un film sulla storia del boss della famiglia Gambino. "Non mi deve piacere, ma è stato una scommessa costruirlo sullo schermo". (ANSA).

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