Un video di tre minuti e mezzo per
raccontare storie di carcerati e di inclusione sociale. Le
riproduzioni di quadri dipinti da detenuti. Un dibattito tra
addetti ai lavori e non sulla possibilità che ha l'arte di
recupero sociale, di riflessione su se stessi, di comunicazione
e apertura con l'esterno per le persone che sono ristrette in
carcere.
Se ne è parlato ieri all'hub culturale di Moby Dick alla
Garbatella, dove si è tenuta la manifestazione CarcerArt,
giornata di incontro e dibattito sulle attività in carcere
organizzato dalla cooperativa Pid e da Nessuno tocchi Caino che
ha visto protagonisti alcune associazioni tra le quali Antigone
Lazio, Forum del Terzo settore, il garante dei detenuti per la
Regione Lazio, Stefano Anastasia, gli artisti Paolo Bielli,
Marina Haas, Elena Pinzuti e Laura Palmieri che nel 2015 hanno
realizzato a Rebibbia il progetto "Il figliol prodigio",
laboratorio di arte con i detenuti. Alle pareti le riproduzioni
di alcune di queste opere hanno fatto da teatro al confronto su
arte, carcere e creatività. A moderare il dibattito lo scrittore
Fulvio Abbate.
Con il video "Le storie sono tante", Ascanio Celestini per tre
minuti e mezzo presta voce e faccia per narrare le vite di
alcuni carcerati che sono riusciti a riscattarsi. "Ogni persona
ha una storia. Ogni persona ha un nome". "Non ci occupiamo di
numeri. Noi ci occupiamo di persone. Noi facciamo i nomi" sono
le parole che scorrono prima dell'inizio del video. Conosciamo
così la storia di Carla, 8 anni di carcere in Thailandia, ma ora
è uscita ed ha una figlia. Poi c'è Paolo che ha preso la terza
media a Regina Coeli. E, ancora, Ulian, bulgaro, in cella per
droga, che ora gestisce un orto e alleva galline; Hope,
nigeriana, che quando è entrata in prigione era incinta di sette
mesi, e di Ahmed, rifugiato politico che è in attesa di ricevere
la cittadinanza italiana. Insomma storie ordinarie di vita di
persone che sono riuscite a ribaltare un destino che li voleva
spacciati.
I progetti culturali con i detenuti sono molto importanti, ha
ricordato Elisabetta Zamparutti, presidente di Nessuno tocchi
Caino, "l'arte - ha aggiunto - è una forma di liberazione e di
contatto con se stessi. Ben vengano questi progetti in una
realtà come quella del carcere che è sempre più chiusa e in una
situazione disumana".
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