MILANO - L'Uruguay conta una popolazione di circa 12 milioni di bovini, quattro volte superiore a quella umana, e ogni animale dispone di una superficie di pascolo equivalente a due campi calcio, ma risulta rintracciabile dalla nascita fino al macello, e anche dopo: ogni taglio di carne uruguaiana, infatti, arriva sul piatto di chi la mangia con nome e indirizzo di provenienza.

L'allevamento e i suoi derivati costituiscono il pilastro fondamentale dell'economia del piccolo paese, con una produzione annua di circa 550 mila tonnellate di carne. E anche se gli uruguaiani ne consumano circa 180 mila tonnellate -61 kili a testa ogni anno, un record mondiale- il 67% resta destinato all'esportazione.

Oltre 100 paesi importano carne bovina premium dall'Uruguay, includendo i mercati più importanti -Cina, Unione Europea, Stati Uniti e Federazione Russa- e infatti il Paese occupa il sesto posto fra i fornitori di carne congelata a livello globale.

Tanto per il mercato interno come per quello esterno, la garanzia della qualità del prodotto risulta un fattore cruciale: nella loro alimentazione i bovini non ricevono ormone, né sono sottoposti a trattamenti chimici, e i produttori del settore devono assicurare una pianificazione della loro attività che riduca il pericolo dell'erosione dei suoli.

Ma il punto principale è la tracciabilità: il 100% degli animali destinati al consumo alimentare sono identificati con un chip elettronico che li accompagna durante tutta la loro vita, fino al macello, e la cui informazione di provenienza è poi trasferita sulla carne che se ne estrae, attraverso un sistema di codice di barre. Così la casalinga che sceglie una bistecca uruguaiana al supermercato, in qualsiasi parte del mondo, può verificare direttamente da dove proviene la carne e in quali condizioni è stato allevato l'animale. Come possono verificare ogni giorno i numerosi clienti della "parrilla" del padiglione uruguaiano alla Expo Milano.