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Responsabilità Editoriale Gruppo Italia Energia

Carbone, non solo una questione di energia per l’Europa

Il quadro dalla Spagna al resto dell'UE

e7, il settimanale di Quotidiano Energia - Il caso della chiusura delle centrali a carbone in Spagna fornisce lo spunto per fare un’analisi internazionale su questa fonte di energia, responsabile di oltre il 40% delle emissioni globali di CO2 (80% per il solo settore elettrico europeo) e per questo motivo destinata a sparire da gran parte delle economie mondiali, più o meno rapidamente.

La Commissione europea ha aperto lunedì scorso un’indagine su parte degli aiuti concessi da Madrid alle centrali a carbone più inquinanti per dismetterle, con il sospetto che possano essere illegittimi. L’inchiesta riguarda 14 impianti che hanno ricevuto oltre 440 mln di euro in sostegni pubblici dal 2007 per l’ installazione di nuovi filtri a base di ossido di zolfo. La Spagna non ha notificato questi aiuti all’UE, le cui autorità stabiliscono se questi sostegni sono conformi alle norme sulla concorrenza. Secondo il Commissario europeo per la Concorrenza, Margrethe Vestager, le centrali spagnole “non sono state incoraggiate a ridurre le emissioni con questo intervento, dal momento che erano già obbligate a farlo da norme UE”, le quali “prevedono limiti di emissione equivalenti a quelli richiesti dalla Spagna per beneficiare degli incentivi”. Dunque, secondo l’UE tale meccanismo non crea alcun “valore aggiunto” e “comporta un vantaggio concorrenziale sleale nei confronti delle società che si sono impegnate a rispettare la stessa regola europea senza aiuti”.

Il Ministro dell’Energia Alvaro Nadal si è difeso, sostenendo che gli incentivi non rientravano all’epoca nella categoria di aiuti pubblici e comunque non sono finanziati dai bilanci statali. Nadal ha aggiunto che la Spagna è intenzionata a continuare a produrre energia col carbone, soluzione “meno costosa rispetto alla produzione da gas”.

I dubbi su questo incentivo ambientale si affiancano a due provvedimenti del governo spagnolo in materia carbonifera, ossia la promessa di chiudere tutte le miniere sul territorio entro il 2018 e il decreto, nato dopo la decisione di Iberdrola di chiudere le sue ultime due centrali a carbone, con cui viene vietato di smantellare impianti in caso questo possa compromettere un adeguato approvvigionamento dell’energia nel Paese. Iberdrola ha anche “incoraggiato” le altre compagnie energetiche spagnole a fare lo stesso per le residue centrali a carbone nel territorio.

Quando in Europa il carbone, oltre a energia, è anche posti di lavoro

Oltre che in Spagna, anche per altre economie europee ( come la Germania, la Polonia, la Repubblica Ceca e la Bulgaria) il carbone è una risorsa ancora piuttosto importante. Solamente altri tre Paesi europei oltre l’Italia (Regno Unito, Francia e Olanda) hanno assunto un impegno di uscita fissando una data. La Germania, invece, non si è ancora pronunciata su una data effettiva di abbandono di questa fonte. Germania, Polonia e Spagna dispongono di una discreta presenza di miniere, le quali richiedono ulteriore attenzione sotto il profilo dello smaltimento e dell’inquinamento ma anche di riqualificazione della forza lavoro impegnata nel settore.

Quest’ultima questione, a differenza di quella della sicurezza del sistema e della garanzia nell’approvvigionamento di energia, non appare insormontabile. Nonostante l’industria del carbone sia percepita come un settore che genera molti posti di lavoro, i livelli di occupazione non sembrano rappresentare una quota decisiva in nessuna economia nazionale. In Polonia, ad esempio, dove l’elettricità è ricavata per l’80% ancora dal carbone, i lavoratori dell’industria carbonifera sono solo lo 0,7% della forza lavoro del Paese, secondo dati del Sole 24 Ore. Tale percentuale appare ancora più bassa negli altri Paesi europei produttori.

L’UE sta pensando anche a un sistema che garantisca un sostegno agli impiegati in questo comparto che perderanno il lavoro per via della transizione energetica. Ricordiamo che dal 2006 esiste il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione, che potrebbe essere ampliato e adeguato in quest’ottica.

Secondo stime del Sole 24 Ore, per arrivare a una cessazione del carbone in Europa entro il 2027, potrebbero essere sufficienti circa 150 milioni di euro all’anno, a partire dal 2020, per dare sostegno a tutti i lavoratori che andranno in esubero. Una quota pari allo 0,1% del bilancio annuo dell’UE.

Nel corso della COP 23 di Bonn è nata una “alleanza contro il carbone”, un segnale lanciato da 24 Paesi, tra cui Italia, Austria, Belgio, Canada, Danimarca, Finlandia, Francia, Messico, Olanda, Nuova Zelanda, Portogallo, Svizzera, Regno Unito e lo Stato USA di Washington. L’obiettivo dell’unione, detta Powering Past Coal, è di arrivare ad almeno 50 partner entro la COP 24, che si terrà l’anno prossimo in Polonia. Da ricordare che una coalizione anti-carbone, “Make Power Clean”, è stata costituita anche da un gruppo di aziende internazionali, tra cui ENI e Snam.

Dall’Economist arriva però un avvertimento: per contenere l’aumento della temperatura globale dovuto ai gas serra sotto il livello critico dei 2 °C non sarà sufficiente ridurre le emissioni ma si dovrà cercare di “assorbire” o “stoccare” la CO2 attraverso le cosiddette Nets (Negative-emissions technologies), finora snobbate dalle politiche internazionali.