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Italia giù in classifica fra i Paesi contro global warming

Rapporto ong, male su rinnovabili e non ha politica nazionale

Redazione ANSA KATOWICE

KATOWICE - L'Italia perde sette posizioni e scende al 23/o posto nella classifica sulle performance climatiche dei principali paesi del mondo contro il riscaldamento globale. La conferma arriva dall'annuale rapporto di Germanwatch, realizzato in collaborazione con Can (il network di ong Climate action network), NewClimate Institute e per l'Italia con Legambiente, che prende in considerazione le azioni per combattere il cambiamento climatico di 56 paesi, più l'Unione Europea nel suo complesso, che insieme contribuiscono al 90% delle emissioni globali.
    L'Italia, nonostante una buona performance nell'uso di energia, ha rallentato lo sviluppo delle rinnovabili e non ha una politica climatica nazionale adeguata agli obiettivi di Parigi. Le emissioni nel 2017 "sono diminuite solo dello 0,3% rispetto all'anno precedente con una riduzione solo del 17,7% rispetto al 1990".
    Anche quest'anno le prime tre posizioni della classifica non sono state attribuite, "perché nessuno dei Paesi ha raggiunto la performance necessaria per contrastare in maniera efficace i cambiamenti climatici e non superare la soglia critica di 1,5 gradi centigradi" come indicato dall'Accordo di Parigi del 2015.
    Al quarto posto - spiega il rapporto - si conferma la Svezia con un'ottima performance nella riduzione delle emissioni e una continua crescita delle rinnovabili, seguita dal Marocco che consolida la sua leadership tra i paesi in via di sviluppo grazie ai considerevoli investimenti nelle rinnovabili e a un'ambiziosa politica climatica. Tra i paesi emergenti, l'India ha fatto un importante passo in avanti posizionandosi all'11/o posto, grazie ad una buona performance climatica dovuta alle basse emissioni pro-capite e al considerevole sviluppo delle rinnovabili.
"Tutti i governi europei sono chiamati a fare la loro parte, a partire dall’Italia – dichiara Edoardo Zanchini, vicepresidente nazionale di Legambiente –. Una prima importante risposta deve arriva dal Piano Nazionale Clima-Energia, che dovrà essere trasmesso alla Commissione europea entro la fine di dicembre, nel quale vanno introdotti obiettivi più ambiziosi di quelli attualmente previsti in Europa per il 2030. Un impegno indispensabile non solo per tradurre in azione l’Accordo di Parigi, ma soprattutto per accelerare la decarbonizzazione dell’economia europea. Solo così sarà possibile vincere la triplice sfida climatica, economica e sociale, creando nuove opportunità per l’occupazione e la competitività delle imprese europee, attraverso una giusta transizione che non penalizzi i meno abbienti e le aree periferiche. Una sfida che l’Europa e l’Italia non possono fallire".

Il rapporto di Germanwatch misura le performance dei vari paesi attraverso il Climate Change Performance Index (CCPI), prendendo come parametro di riferimento gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e gli impegni assunti al 2030. Il CCPI si basa per il 40% sul trend delle emissioni, per il 20% sullo sviluppo sia delle rinnovabili che dell’efficienza energetica e per il restante 20% sulla politica climatica. 

Per la prima volta la Cina lascia le retrovie e raggiunge il centro della classifica posizionandosi al 33/o posto, grazie ad una politica climatica più incisiva, che ha adottato norme più stringenti per la riduzione delle emissioni nei settori industriale ed abitativo, e all’introduzione di un efficace regime di sostegno delle rinnovabili. In fondo alla classifica si posizionano l’Arabia Saudita (60) e gli Stati Uniti (59). Con Trump gli USA sono indietreggiati in quasi tutti gli indicatori compromettendo i passi in avanti degli scorsi anni. Tuttavia segnali positivi giungono dall’inedita Alleanza per il Clima – oltre tremila tra stati, città, imprese nazionali e multinazionali, università e college – che sta lavorando per mantenere gli impegni assunti a Parigi attraverso un’azione congiunta che bypassa l’amministrazione federale.  

Investitori a governi, tassare CO2 e stop al carbone. Oltre 400 gestori patrimoniali, tra cui importanti fondi pensione e compagnie assicurative (comprese Allianz, Axa e Zurich) hanno chiesto ai governi mondiali di intensificare le azioni di contrasto al cambiamento climatico. Gli investitori, con asset per 32mila miliardi di dollari, hanno evidenziato la necessità di eliminare gradualmente le centrali a carbone e di assegnare un prezzo "significativo" alle emissioni di carbonio. Obiettivo è evitare le conseguenze economiche del surriscaldamento del Pianeta, che sarebbero peggiori della crisi finanziaria del 2008. Le richieste sono contenute nella "Dichiarazione degli investitori ai governi sui cambiamenti climatici", firmata da 415 investitori e indirizzata ai Paesi presenti alla conferenza Onu sul clima (Cop24) in corso a Katowice, in Polonia. Nella dichiarazione si chiede di rafforzare gli impegni per rispettare l'accordo di Parigi sottoscritto nel 2015, che prevede di limitare l'innalzamento della temperatura globale ben al di sotto dei 2 gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali. Tra le priorità è evidenziata l'accelerazione degli investimenti del settore privato per la transizione a un'economia a basse emissioni di carbonio. Gli investitori, che chiedono anche lo stop agli incentivi alle fonti fossili, si dicono "molto preoccupati" per le conseguenze di un riscaldamento globale "inaccettabile", che avrebbe "impatti economici negativi". Secondo la multinazionale inglese Schroders, tra i firmatari, un aumento delle temperature di 4 gradi nel lungo periodo comporterebbe perdite economiche di 23mila miliardi di dollari nei prossimi 80 anni. La cifra è tre-quattro volte più elevata degli impatti della crisi finanziaria del 2008.

Città e regioni europee, siamo parte della soluzione. Nella lotta al riscaldamento globale le città e le regioni europee confermano la disponibilità a fare la propria parte, soprattutto perché sono responsabili del 70% delle emissioni di gas serra. E proprio per la grande responsabilità che hanno, senza che però i governi ne monitorino nel dettaglio le politiche, gli interventi e i progressi, chiedono un coinvolgimento maggiore e un riconoscimento formale. Anche perché l'accordo di Parigi sul clima, nel 2015, non prevede regole, alcun calcolo formale né un metodo di resoconto, per valutare gli sforzi in campo a livello locale. La 24/a Conferenza mondiale sul clima che si sta svolgendo a Katowice, in Polonia, è l'occasione. Per colmare il gap fra gli impegni nazionali di riduzione di gas serra e il reale valore delle emissioni, il Comitato europeo delle Regioni (che racchiude 9.000 fra città e regioni) chiede che nel libro delle regole (Rule Book) che si sta definendo in questi giorni a Katowice con le azioni per implementare l'accordo di Parigi, sia incluso un sistema di contributi regionali e locali (Rldcs) complementari, un impegno che il Cdr vuole sia inserito anche nel documento finale della Cop24. Questa, ritengono le realtà locali, può essere la "soluzione" al gap fra gli impegni nazionali e la riduzione necessaria di gas serra. Questa mattina la città di Katowice si è unita al Comitato delle Regioni con cui vuole condividere gli impegni.

La moda in campo con 'Carta per sostenibilità'. L'industria mondiale della moda scende in campo contro i cambiamenti climatici lanciando la "Carta per la sostenibilità della moda". Sotto l'egida delle Nazioni Unite, marchi leader da adidas a Burberry, Esprit, Guess, Gap, Hugo Boss, H&M, Inditex, Kering Group, Levi'S, Puma insieme con associazioni tessili di grosso calibro (Business for Social Responsibility, Sustainable Apparel Coalition, China National Textile and Apparel Council, Outdoor Industry Association and Textile Exchange), il colosso dei trasporti Maersk e il Wwf hanno deciso di unire le forze per ridurre l'impatto esercitato dall'intera filiera della moda sull'ambiente. L'annuncio è stato dato alla Cop24, la conferenza dell'Onu sul clima in corso a Katowice, in Polonia. Fra gli obiettivi indicati dalla Carta spiccano la decarbonizzazione nelle fasi di produzione, la scelta di materiali sostenibili, modalità di trasporto a basse emissioni di carbonio, l'importanza di stabilire un dialogo con i clienti e di sensibilizzare i consumatori, la collaborazione con le comunità finanziarie e i responsabili politici con l'obiettivo di individuare soluzioni scalabili e promuovere l'economia circolare. Nell'attesa che queste questioni vengano definite nel dettaglio, i firmatari hanno fissato un obiettivo iniziale di riduzione delle emissioni aggregate di gas serra del 30% entro il 2030, oltre a stilare misure concrete, come l'eliminazione graduale delle caldaie a carbone o di altre fonti di riscaldamento e produzione di energia a base di carbone presso i propri stabilimenti e quelli dei fornitori diretti a partire dal 2025.

Protesta giovani contro evento Usa. Oltre un centinaio di giovani, fra appartenenti a ong e osservatori dei negoziati sul clima in corso a Katowice, in Polonia, hanno protestato per un evento sui combustibili fossili tenuto dalla delegazione statunitense alla Cop24. I gruppi hanno impedito l'inizio dell'evento, cantando "keep it in the ground" - chiedendo così la fine dell'estrazione di carbone, petrolio e gas naturale. Alcuni giovani sono entrati in sala e hanno interrotto più volte i lavori intonando anche lo slogan "shame on you", cioè "vergogna". Stessi slogan per i tanti ragazzi che non sono stati fatti entrare in sala. Il governo degli Stati Uniti ha annunciato che si sta ritirando dall'accordo sul clima di Parigi 2015, ma ha inviato una piccola delegazione al vertice in Polonia perché gli Stati Uniti tecnicamente sono ancora parte dell'accordo. Il presidente degli Usa Donald Trump si è sempre detto scettico rispetto all'allarme degli scienziati sui cambiamenti climatici e la sua amministrazione ha affermato che intende andare avanti con l'estrazione dei combustibili fossili.

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