Incassa una nuova assoluzione Fabio
Furlan, sotto processo per oltre dieci anni con l'accusa di
essere responsabile della morte e della sparizione del cadavere
del suo amico Cristofer Oliva, di cui si sono perse le tracce
ben 14 anni fa, precisamente nel novembre del 2009. La V sezione
penale della Corte di Assise di Appello di Napoli lo ha assolto
da quelle accuse e lo ha invece condannato a sei anni di
reclusione per spaccio di sostanze stupefacenti, un reato che
ammise nel 2015 e la cui pena ha praticamente già scontato.
L'iter giudiziario però non può ancora dirsi concluso: Furlan,
infatti, potrebbe essere di nuovo sottoposto a giudizio visto
che la Procura Generale di Napoli ha ancora la possibilità di
presentare un ricorso.
Di Oliva si persero le tracce nel novembre 2009: Furlan venne
accusato di averlo ucciso e di avere fatto sparire il corpo per
divergenze sorte a causa di una ragazza contesa e, anche, per
dissidi sulla coltivazione della marijuana da spacciare nella
cosiddetta "Napoli bene". Determinante, per la decisione
adottata oggi, è stata l'acquisizione di un video registrato dai
sistemi di video sorveglianza presenti nella stazione Chiaiano
della metropolitana di Napoli dove la vittima viene immortalata
tre giorni dopo la sua presunta sparizione per mano di Furlan.
In quelle immagini viene ritratto con addosso lo stesso giubbino
e gli stessi jeans che aveva in una foto pubblicata sul suo
profilo social.
I suoi legali, gli avvocati Dario Vannetiello e Luigi
Petrillo, hanno portato all'attenzione dei giudici anche altri
plausibili moventi: Oliva, infatti, secondo i legali, era inviso
al mondo del narcotraffico partenopeo; aveva denunciato dei
rapinatori che, quindi, nutrivano risentimenti nei suoi
confronti. Infine non si esclude il risentimento nei suoi
riguardi da parte di un egiziano che aveva una relazione con la
stessa ragazza contesa.
Il lungo iter giudiziario di Furlan è iniziato il 17 ottobre
2013, con la prima condanna a 30 anni a cui hanno fatto seguito
un paio di sentenze di secondo grado e conseguenti ricorsi
accolti dalla Cassazione che hanno portato al verdetto di oggi,
che non può ancora dirsi passato in giudicato.
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