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Incidenti, malattie e caos: quante 'bufale' mondiali

Quattro mesi di allarme mediatico per Brasile 2014, ma tutto ok

Tullio Giannotti RIO DE JANEIRO

 L'unico a caderci fu l'ingenuo ministro dello Sport brasiliano, Aldo Rebelo. Di fronte alla marea montante di terrorismo psicologico dei media inglesi sui pericoli di Manaus, li prese sul serio. E disse in conferenza stampa, che i tifosi di Gerrard e Rooney "non avrebbero corso più rischi dei soldati inglesi in Afghanistan o in Iraq". Tutti risero di Rebelo, ma i giornali in Inghilterra avevano cominciato una campagna anti-Manaus da gennaio, da quando il ct Roy Hodgson era andato a visionare la capitale amazzonica e lo stadio della partita d'esordio della sua nazionale.

Disse, l'incauto Hodgson, che Manaus era un posto da evitare. E giù, dietro di lui, con "la città più violenta del Brasile", preda di malattie terribili come la febbre gialla e praticamente inevitabili, come la dengue. Senza parlare del caldo, paragonato quasi a quello di un pianeta lontano dalla Terra, reso insostenibile dall'umidità. I fortunati tifosi, sportivi e giornalisti che hanno potuto seguire la tappa amazzonica dei Mondiali, difficilmente dimenticheranno la bellezza mozzafiato del paesaggio, l'amabilità degli abitanti di Manaus, le trattorie con la tovaglia colorata, il pesce del Rio delle Amazzoni alla griglia, l'ospitalità, i sorrisi. Per non parlare dello splendido teatro dell'Opera in stile coloniale con le sue serate di musica da camera e operistica. Niente piranhas, niente prostitute con prezzi raddoppiati a caccia di sprovveduti tifosi europei, addirittura niente pesce mangia-testicoli, come aveva paventato qualche giornale.

"Io vivo a San Paolo con mia moglie e i miei due figli piccoli - racconta André, un affermato avvocato di madre brasiliana e padre italiano - quando ho letto di queste storie di malaria e dengue che imperversano nel nostro Paese sono caduto dalle nuvole. Ci sono dei casi, se si va in determinate zone, ma io conosco veramente poche persone che si sono ammalate. Qui nessuno si sogna neppure di mettere il repellente antizanzare, i miei figli non sanno cosa sia". L'altro pilastro della teoria del Mondiale rischioso era quello delle proteste dei "no Copa". Che ci sono ovviamente state prima dell'inizio della manifestazione, non sono state né oceaniche né violente, ed hanno raccolto interesse fino al calcio d'inizio della prima partita. Poi, basta. Dalle favelas agli eleganti ristoranti di San Paolo, si segue il Mondiale allo stadio e in tv, i tifosi di squadre che fino ad un minuto prima erano avversarie fraternizzano come sempre con un bicchiere di cerveja in mano nelle strade delle città, i brasiliani si associano ovunque, la festa è festa per tutti. E senza incidenti.

Il resto dei disagi sono quelli normali di qualsiasi paese organizzatore, accentuati nel caso del Brasile dal fatto che si gioca in una terra di tensioni sociali e di fortissime contraddizioni. Quindi è effettivamente vero che il traffico stradale è ai limiti della sostenibilità, ma lo è altrettanto la possibilità di alternative come la metropolitana (a Rio, ad esempio, arriva a 200 metri dal Maracanà), biciclette e motorini da noleggiare, più o meno regolarmente. Senza contare che gli aerei sono puntualissimi, i voli frequenti e le file in aeroporto non esistono nonostante l'affollamento. Ai giornalisti che tanto temevano disagi, poi, il Brasile ha regalato una rete di connessione ad Internet da far invidia ai migliori standard europei, a cominciare da una rete wifi di grande efficienza praticamente ovunque. "Bisogna fare attenzione - avverte il giovane avvocato André - perché a volte a forza di mettere in giro paure assurde senza conoscere niente di un Paese, si rischia di non far attenzione ai pericoli reali. Come quello di fare il bagno sulla spiaggia di Recife, come ho visto fare a tanti europei questi giorni. Nessun brasiliano accorto lo farebbe, è zona di piccoli squali in acque basse. E ci sono avvertenze ovunque".

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