(di Sabina Rosset)
Salta l'approvazione al
Consiglio Ue della direttiva europea sulla 'Due diligence
aziendale', la riforma per obbligare le grandi imprese ad avere
una sostenibilità sociale e ambientale non solo nell'Unione, ma
anche a livello globale, tenendo conto dei diritti umani, dei
lavoratori e dell'impatto ambientale anche di fornitori o
partner commerciali. Dopo l'accordo già raggiunto a metà
dicembre con i negoziatori del Parlamento europeo, gli Stati
membri hanno fatto un clamoroso dietrofront. Un evento che si
vorrebbe raro nelle 'liturgie' delle istituzioni europee, anche
se da ultimo i cambi di posizione si stanno moltiplicando, in
alcune svolte negoziali 'last minute' di Berlino, ma anche nello
stop visto solo pochi giorni fa alla direttiva sui rider già
approvata dai negoziatori.
C'è ora grande attesa per il regolamento sugli imballaggi che
lunedì arriverà al negoziato inter-istituzionale tra Eurocamera
e Consiglio ('trilogo') e sul quale l'Italia resta scettica.
Alla luce dei forti costi sociali ed ecologici, non bilanciati
da soluzioni ambientali ottimali. A livello di ambasciatori,
comunque, già oggi sono state chieste alla presidenza alcune
deroghe da vari Stati, si vedrà.
Sulla 'Due diligence', intanto, pur senza un voto formale da
quanto è trapelato da fonti diplomatiche tra i grandi Stati
membri è sfumato il supporto della Germania, e l'Italia si è
posizionata sull'astensione per il timore dei contraccolpi che
il testo attuale avrebbe su un'economia che ha già dovuto far i
conti con delle crisi. La svolta ci sarebbe stata però
soprattutto in un'inversione a U della Francia, che ha chiesto
alla presidenza belga di rinegoziare in modo importante le
soglie di applicazione della riforma: ben oltre dunque le
imprese con 500 dipendenti e 150 milioni di fatturato previste
nell'accordo inter-istituzionale siglato a dicembre.
"Sarebbe ingiusto attribuire la mancata approvazione del
testo a un particolare Stato membro", hanno spiegato altre fonti
diplomatiche segnalando che "molti" Stati si sono messi di
traverso alla direttiva. Tra gli altri, la Finlandia ha chiesto
un emendamento, l'Austria ha dichiarato di non potersi esprimere
oggi. Il supporto alla fine sarebbe mancato da 15 Stati (solo la
Svezia è apertamente contraria). Vista la mancanza di una
maggioranza qualificata (14 Paesi con almeno il 65% della
popolazione) la presidenza del Consiglio ha quindi ritirato il
punto. La presidenza belga di turno alla guida dell'Ue ha
spiegato che ora verrà rivalutata la situazione per vedere se
sia "possibile affrontare le preoccupazioni avanzate dagli Stati
membri, in consultazione con il Parlamento europeo". Non è
impossibile un accordo in tempo per l'approvazione all'ultima
plenaria ad aprile dell'Eurocamera, prima delle elezioni. Ma
certo le possibilità si riducono.
La relatrice per il Parlamento europeo sulla direttiva,
l'eurodeputata olandese di S&D Lara Wolters, ha intanto reagito
dicendosi "indignata" da quanto successo, ha denunciato la
"significativa pressione" delle imprese sugli Stati e ha
definito "molto preoccupante" la posizione emersa dal Consiglio
Ue, che "non rispetta il Parlamento europeo nel suo complesso
come legislatore" e "mina la fiducia necessaria per raggiungere
accordi".
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