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Responsabilità editoriale di ASviS
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La strategia nazionale sull’economia circolare stenta a raggiungere i risultati fissati, causando ritardi rispetto alla tabella di marcia. È quanto emerge dal “Circular economy report 2023” pubblicato a fine novembre dalla School of Management del Politecnico di Milano. L’economia circolare, sottolinea il Rapporto, non ha l’attenzione che merita. Spesso è identificata solo con il riciclo dei rifiuti e, soprattutto nelle imprese più piccole, le difficoltà economiche portano al suo accantonamento.
Nell’ultimo anno i risparmi ottenuti in Italia grazie all’economia circolare sono stati di 1,2 miliardi, che fanno salire il totale a 15,6 miliardi, appena il 15% dell’obiettivo di 103 fissato al 2030. Rimane un gap di circa 88 miliardi, che significa risparmiare circa 11 miliardi all’anno, ossia decuplicare gli sforzi. A livello europeo il posizionamento dell’Italia nell’European circular economy monitoring framework è sostenuto soprattutto dalla capacità di gestire il riciclo dei rifiuti. Attività virtuosa ma insufficiente, visto che dal riciclo si dovrebbe passare al riuso.
Le performance dei principali Paesi europei
Negli ultimi anni, continua il Rapporto, si è allargata la forbice tra la percentuale di raccolta differenziata e il tasso di riciclo (nel 2010 i tassi di raccolta differenziata e riciclo erano pari rispettivamente a 35,3% e 34%, nel 2021 hanno raggiunto invece il 64% e il 48,1%; fonte Ispra). Questo dimostra che un flusso omogeneo in termini di raccolta non si traduce direttamente nel raggiungimento di elevati tassi di riciclo.
Guardando agli indicatori collegati allo sviluppo dell’economia circolare (material footprint, produttività delle risorse, tasso di utilizzo delle materie provenienti da riciclo, persone assunte, valore aggiunto e investimenti privati), l’Italia, assieme a Spagna e Paesi Bassi, ottiene le performance migliori. L’unico indicatore dove l’Italia non brilla è legato agli investimenti privati, dove il nostro Paese si posiziona al penultimo posto.
ll 41% delle imprese coinvolte nella survey della School of Management ha dichiarato di aver ottenuto un tempo di rientro dagli investimenti in economia circolare inferiore all’anno, ma in più della metà dei casi si tratta di investimenti sotto i 50mila euro. I principali benefici percepiti riguardano la riduzione dell’impatto ambientale e dei rifiuti generati, seguita dalla valorizzazione del brand. Gli ostacoli, al contrario, vanno cercati negli elevati costi di investimento, correlati all’alto tempo di rientro, e nell’incertezza legata alla normativa e agli incentivi.
Gli ostacoli alla diffusione dell’economia circolare
Il sondaggio condotto nel mondo aziendale mostra un quadro in chiaroscuro. Il 60% della grandi imprese dichiara di aver adottato almeno una pratica connessa alla circolarità. Percentuale che crolla al 29% se guardiamo alle piccole imprese. Inoltre, sottolinea il Rapporto, nelle Pmi il numero complessivo di “scettici”, ossia di chi non intende adottare nessuna pratica di circolarità, è salito dal 38% del 2022 al 47% del 2023. La transizione verso l’economia circolare per la quasi totalità delle imprese è ancora ai primi passi, con il 70% delle imprese che dichiara di essere ancora ai livelli iniziali, con un rating medio di 2,06 in una scala da 1 a 5.
Dal documento emerge come la spinta innovativa nel nostro Paese mostri segnali incoraggianti. L’Italia è seconda per numero totale di brevetti in Europa relativi all’economia circolare. Inoltre, sono più di 210 le startup circolari in Italia che hanno raccolto nei diversi round di finanziamenti un totale di 122,7 milioni di euro.
L’Italia accelera sulla transizione ambientale: in cinque anni eco-investimenti per una impresa su tre e cresce l’incidenza dei green job. Si consolida l’economia circolare, ancora troppo lenta la transizione energetica. 24/11/23
Nel 2022 si è registrata una crescita dei risparmi ottenuti grazie all’adozione di buone pratiche. L’economia circolare è indispensabile per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione. Mantenendo un ritmo simile a quello attuale otterremo una diminuzione delle emissioni al 2030 pari a circa 2,2 MtCO2eq, ma il vero potenziale di riduzione è pari a circa 6,2 MtCO2eq. Emerge una forte richiesta di integrazioni, modifiche e semplificazioni all’attuale quadro normativo, assieme alla necessità di una visione multi-stakeholder, che affronti sia le criticità riscontrate da produttori e operatori attivi nella gestione ambientale, sia la mancanza di conoscenza dei modelli circolari tra i singoli utenti. In questo modo si potrebbe ottenere una sinergia tra le azioni delle aziende e dei cittadini capace di portare allo sviluppo di filiere circolari che valorizzino le risorse e sviluppino mercati per dare seconda vita ai prodotti.
di Tommaso Tautonico
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