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In evidenza
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Responsabilità editoriale di ASviS
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di Donato Speroni
Un’idea del direttore scientifico dell’ASviS Enrico Giovannini è arrivata a maturazione: si svolgerà in Italia, dal 4 al 6 novembre 2024, la settima edizione del Forum mondiale dell’Ocse sul benessere.
I promotori saranno Istat e Mef che in un comunicato congiunto annunciano:
L’iniziativa, inserita nell’anno in cui l’Italia presiederà il G7, ha l’obiettivo di promuovere a livello internazionale l’adozione di politiche per il benessere, la sostenibilità e la riduzione delle diseguaglianze. Queste politiche attingono sistematicamente a dati statistici e ad altre evidenze di qualità, nonché alle best practice internazionali, sia in fase di progettazione e valutazione dell’impatto, sia durante l’implementazione e l’analisi dei risultati raggiunti.
Del superamento del Pil parla anche il segretario generale dell’Onu Antònio Guterres in uno dei policy brief predisposti per il Summit sul futuro del prossimo anno, a conferma dell’importanza di “misurare ciò che conta davvero” (Valuing what counts).
Si può dire che l’incontro del 2024 in Italia andrà a chiudere un ciclo: vent’anni fa Giovannini, all’epoca nel ruolo di chief statistician dell’Ocse, organizzò a Palermo il primo Forum internazionale su “Statistics, knowledge and policy” che diede un importante impulso agli studi sulle misure di benessere collettivo “oltre il Pil”.
Da allora, nei Forum internazionali e in cento altri incontri, le tecniche di misurazione dei fenomeni economici, sociali e ambientali che il Prodotto interno lordo non rappresenta adeguatamente si sono molto affinate. Ma la statistica è un work in progress e restano interrogativi irrisolti e forse insolubili. Il primo riguarda l’uso politico di questi dati. Anche se sono stati fatti alcuni tentativi, è chiaro che le misure del benessere collettivo non si possono ridurre a un unico indicatore, con l’efficacia mediatica di un dato come il Pil. Leggere correttamente un “cruscotto” è sempre più difficile che leggere e commentare un solo dato e questo ha ridotto l’impatto politico delle nuove misure. Il secondo limite è che si possono misurare gli standard oggettivi e le percezioni su “ciò che conta davvero” per il benessere collettivo (più o meno le stesse cose in tutto il mondo: reddito, salute, istruzione, sicurezza, per citare alcune delle voci più importanti, come si può vedere dal bel sito “Come va la vita?” dell’Ocse disponibile anche in italiano), ma l’aspirazione di certi studiosi a fornire parametri universalmente validi di felicità non ha dato risultati soddisfacenti. È vero che esiste un Happiness index misurato annualmente sulla base della domanda della Gallup “Quanto sei soddisfatto della tua vita da uno a dieci?”, ma in realtà le risposte dipendono in larga misura dalle culture e sono difficilmente confrontabili su aree diverse. La terza difficoltà riguarda la misura della sostenibilità, cioè la quantità di capitale non solo economico, ma anche ambientale, sociale e umano, che si trasmette in un Paese da anno in anno e da generazione in generazione. Su questo si è lavorato molto, ma per esempio la quantificazione in valore perduto della scomparsa di una specie di uccello o di insetto non è mai stata definita in modo appropriato.
Nel complesso però in questi vent’anni è stato compiuto un grande progresso e possiamo dire che già viviamo in un’epoca di misure statistiche “beyond Gdp”, cioè oltre il Pil, grazie alla ricchezza degli indicatori di cui disponiamo. Un forte impulso è arrivato anche dall’Agenda 2030, per l’impegno a misurare in tutto il mondo i 169 Target dei suoi 17 Obiettivi, i Sustainable development goals (SDGs): anche questo è un work in progres,s ma si può dire che dall’Agenda 2030 la statistica mondiale ha ricevuto un forte impulso al miglioramento.
L’Italia, grazie ancora a Giovannini quando era presidente dell’Istat, è stata tra i primi Paesi a dotarsi di indicatori di benessere collettivo, attraverso i dodici domini del Bes, Benessere equo e sostenibile, che l’Istat aggiorna annualmente dal 2013. Al Bes si affiancano da qualche anno gli indicatori SDGs, anche questi prodotti dall’Istat, che consentono di misurare la situazione dell’Italia rispetto agli Obiettivi. Da questi indicatori l’area ricerca dell’ASviS ricava il suo database che indica percorsi e scostamenti rispetto ai 17 Obiettivi. L’ASviS ha anche condotto questa analisi per regioni, province e città metropolitane: un lavoro particolarmente importante per gli sviluppi territoriali della Strategia nazionale di sviluppo sostenibile recentemente approvata dal governo. Già oggi 13 regioni e nove città metropolitane si sono dotate di piani di sostenibilità e anche questo è un work in progress al quale l’ASviS dà il suo contributo.
Il comunicato di Mef e Istat sul Forum dell’Ocse ricorda che:
L’Italia è il primo fra i membri della Ue e del G7 ad aver incluso dal 2017, nei propri Documenti di programmazione economico-finanziaria (Def e Nadef), dodici indicatori di benessere equo e sostenibile (Bes). In questo modo assicura un monitoraggio di alto livello delle condizioni di benessere della popolazione italiana, attraverso i dati forniti periodicamente dall’Istat, nonché la valutazione dell’impatto delle misure adottate in vista del raggiungimento degli obiettivi fissati dall’Agenda 2030.
Il Mef ha aggiornato costantemente questo lavoro (per la verità nel Def e non nella Nadef), ma non si può dire che abbia avuto un forte impatto mediatico e politico. In realtà le nuove misure del benessere hanno rilevanza in una economia che vada davvero “oltre il Pil” non solo negli indicatori ma nella sostanza, che cioè si ponga altri obiettivi che non sono solo quelli della mera crescita economica, che va incontro a evidenti limitazioni perché abbiamo raggiunto le soglie massime di sfruttamento delle risorse planetarie.
Di “nuovo modello di sviluppo” si parla da tempo: in un ASviS live del 2021, ho ricordato con Romano Prodi che, quando nel 1973 ero condirettore di Mondo Economico, all’epoca settimanale del Sole 24 Ore, dedicammo a questo tema la prima copertina della nuova serie, ma lo illustrammo con una scultura astratta, perché se ne parlava come di una sorta di Araba fenice.
In questi cinquant’anni invece, le riflessioni su una nuova economia sono progredite di pari passo con quelle sulle nuove misure beyond Gdp. Segnaliamo in particolare il recentissimo “Manifesto degli economisti per una nuova economia” promosso da Leonardo Becchetti di Next, che ha raccolto finora oltre 260 firme. Si tratta di un documento in cinque punti:
Il documento mette in discussione alcuni degli assunti dell’economia classica, a cominciare dalle motivazioni delle scelte individuali, costatando che:
l’essere umano è molto più di un massimizzatore di utilità il cui argomento principale, se non unico, è consumare più beni con più dotazioni monetarie.
Anche le motivazioni delle imprese sono ben più complesse del mero perseguimento del profitto, ed è fallace anche l’idea che un “pianificatore benevolente” (cioè lo Stato) possa risolvere tutte le crisi intervenendo dall’alto.
Bisogna riconoscere che è cruciale per risolvere i fallimenti di mercato il coinvolgimento di cittadini consapevoli ed imprese responsabili che, in linea con il principio di generatività, capiscono che aumentare l’impatto sociale ed ambientale delle proprie scelte è il sentiero che porta alla soddisfazione e pienezza di senso di vita. Pertanto, oggi nel valutare una scelta di policy se ne deve misurare non solo l’impatto preciso ma anche quanto essa impatta su partecipazione, cittadinanza attiva e capitale sociale e civico, i fattori che creano lo spazio vitale per la sopravvivenza della democrazia.
Tutto questo comporta anche una nuova visione degli studi economici.
Con i nuovi problemi emergenti legati alla messa in discussione della scienza, alle manipolazioni della verità sui social media e al crescente analfabetismo funzionale diviene inadeguato il modello del ricercatore chiuso nella sua torre d’avorio, avulso dalla società, ed è invece urgente quella terza missione dell’impegnarsi in prima persona a saldare connessioni strette tra didattica, ricerca e ricadute sociali che da esse derivano.
Questi temi, dal cambiamento dei criteri di scelta di beni e servizi alla evoluzione delle finalità delle imprese, fanno parte da tempo del patrimonio culturale dell’ASviS. Si può dire anzi che non esiste sviluppo sostenibile senza nuovi principi economici e nuovi parametri per misurarlo. Ne è ben consapevole anche Papa Francesco, che proprio in questi giorni ha rinnovato il suo appello per proteggere il Creato, come già fece nella “Laudato sì”.
Giustamente Mef e Istat nel loro comunicato ricollegano la ricerca di nuove misure del benessere collettivo all’Agenda 2030, che di questa ricerca di nuovi parametri traccia la strada. Ma non si può dire che si tratti di valori generalmente acquisiti. Da qui la necessità di continuare a impegnarsi in una forte azione culturale, per far capire a tutti che il mondo è cambiato e che non si può rimanere fermi né tornare indietro.
Credits: Milos Skakal (2023)
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