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Responsabilità editoriale di ASviS
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editoriale di Elis Viettone
Crisi climatica, crisi energetica, crisi economica, crisi sanitaria, crisi bellica: è corretto parlare di crisi per tutte queste differenti circostanze? Sì, se restituiamo alla parola crisi il suo significato originario, ovvero l'antico greco κρίσις: culmine, punto di svolta, ma anche distinguere, decidere (vocabolario Treccani). Il problema è che accanto alla narrazione di queste crisi, spesso come comunicatori perdiamo di vista il fine ultimo della corretta informazione, ovvero rendere le persone consapevoli, capaci di scelte per cambiare lo stato delle cose, in vista, nel migliore dei mondi possibili, dell'interesse generale e del bene comune.
Se le parole sono il mezzo che abbiamo per informare, forse dovremmo – comunicatori, giornalisti e tutti coloro che orientano il dibattito pubblico – prestare più attenzione ai termini e ai concetti che esprimiamo per analizzare, definire e affrontare le questioni, ricordandoci di prospettare sempre scenari alternativi e soluzioni razionali.
Soluzioni, certo, perché se agli allarmi non si affiancano costantemente strategie positive di breve, medio e lungo periodo, è anche inutile scriverne. Transforming our world non a caso è il titolo dell'Agenda 2030, firmata dai Paesi Onu nel 2015 per uno sviluppo sostenibile globale. Nell’Agenda è descritto un puntuale programma per eliminare la povertà estrema, passare a fonti energetiche rinnovabili, assicurare accesso a istruzione e sanità a miliardi di persone, salvaguardare l'ambiente e creare benessere e prosperità economica. Proprio su questi temi si concentreranno i lavori del prossimo vertice Onu che a settembre farà il punto sugli Obiettivi di sviluppo sostenibile. Si tratta di riunioni internazionali spesso sottostimate, se non ignorate, dai nostri media.
È vero che in un mondo complesso, interdipendente e pesantemente compromesso da diversi punti di vista, anche le soluzioni possono apparire difficili da raggiungere, ma la comunità scientifica e l'avanzamento tecnologico sono nostri alleati. E poi ci sono le parole, quelle che smuovono le coscienze e preparano il terreno alle azioni collettive, dalle scelte di voto a quelle di consumo.
Così l'iniziativa Piano B – mappe di significato, presentata al Meeting di Rimini, sottoscritto anche da Carla Collicelli ed Enrico Giovannini dell’ASviS, insiste sulla necessità di una rigenerazione del lessico, perché:
“Nel dibattito pubblico, le parole sembrano non valere più niente. Ridotte a slogan, sono usate come armi, muri, forbici, che semplificano, feriscono, tengono a distanza. La complessità viene rimossa e la diversità delle prospettive diventa incompatibilità assoluta. Ad aumentare sono la confusione e l’inefficacia dell’azione”.
Andiamo più nello specifico e analizziamo qualche espressione ricorrente nell'informazione a più ampia diffusione.
Clima. Fa davvero così caldo in questa estate da dover evocare gli inferi di Caronte? Non sarebbe meglio chiamare questo evento meteorologico “ondata di intenso calore” e dissociarla dall'aggettivo “anomala”, visto che ahimè anomala non è e lo sarà sempre meno? Piuttosto sarebbe più utile accompagnare le informazioni sull'ondata di calore con quelle su ciò che si sta facendo e che si può fare.
Migrazioni. Invasione, barconi della morte, taxi del mare, scafisti, muri e confini: ci si riferisce spesso ai fenomeni migratori come fossero eventi straordinari, con un inizio e una fine, spesso drammatica. Piuttosto i flussi migratori andrebbero intesi e descritti come delle inevitabili conseguenze del mondo che abbiamo sin qui costruito. Diseguaglianze, conflitti, depauperamento delle risorse naturali, cambiamento climatico: se non raccontiamo anche tutto questo, poco spazio resta all'elaborazione di proposte e soluzioni e trattandosi di un fenomeno strutturale, dobbiamo cimentarci con prospettive a medio e lungo termine.
Pari opportunità. Vogliamo davvero raggiungere la parità dei salari, di accesso a servizi e mondo del lavoro, di cogestione della genitorialità? Interroghiamoci dunque, ogni volta che scriviamo di una donna, se per un uomo avremmo usato le stesse parole. Vi stupirete di quanto cambiano registro e appellativi a seconda del genere. A partire dallo spiacevole articolo davanti al cognome, all' abitudine di riferirsi alla quarta carica dello Stato semplicemente con “Giorgia”. Oppure le cronache dei “femminicidi”: possibile che si debba scrivere “ennesima” vittima e, a volte, addirittura “predestinata”? Ennesima fa pensare a un numero in serie, tante sono state e tante saranno, mentre di predestinato non c'è proprio nulla, se non il dolore di chi è condannato a vivere nell'indifferenza della comunità e nell'assenza delle istituzioni.
Ha scritto Alessandro Campi sul Messaggero del 31 luglio: “L’informazione, cioè la narrazione puntuale e pacata dei fatti [...], pare ormai sostituita da un mix di sensazionalismo e propaganda, di terrorismo psicologico e mezze verità che spesso risultano essere mezze bugie. Ma siamo sicuri che agitare scenari da incubo e sollecitare timori ancestrali (primo fra tutti quello della morte imminente) sia il modo migliore per mettere le persone dinnanzi alle proprie responsabilità? […] Il risultato è la creazione di uno stato d’animo collettivo prossimo all’angoscia, che sfocia per alcuni nella rassegnazione, per altri nella rabbia […], nella convinzione, sempre più diffusa, che sopravvivere è ormai il massimo che ognuno di noi può fare”.
Proprio questo è il punto. Una volta informati e consapevoli, c'è qualcosa che ognuno di noi può ancora fare che abbia un significativo impatto positivo in un pianeta in apparenza così fragile, di fronte a crisi così radicate? Sì, moltissime. Alcune questioni si possono risolvere, nel medio e nel breve periodo, come l'eliminazione del divario salariale uomo-donna o la riduzione della povertà estrema nei Paesi in via di sviluppo; altre invece hanno bisogno di tempi più lunghi, accompagnate da pazienza, costanza e fiducia. I primi frutti della netta riduzione di emissioni climalteranti, ad esempio, li coglieremo tra qualche decennio, ma se non impostiamo subito le scelte corrette le conseguenze potrebbero essere disastrose.
Lungi dal voler alimentare le eco-ansie, dobbiamo ribadire che il contenimento dell'aumento della temperatura terrestre non è solo una questione di buon senso: se ad oggi le peggiori conseguenze che abbiamo visto sono state siccità e alluvioni, migrazioni di massa e deterioramento degli ecosistemi, perdita della biodiversità e conflitti bellici, teniamo bene a mente che ci sono dei punti di non ritorno, i cosiddetti tipping points, che la comunità scientifica ha ben descritto. Superati questi, altre conseguenze di portata imprevedibile potrebbero seriamente compromettere il futuro del genere umano. Anche per questo il recente appello di cento scienziati esorta i giornalisti a parlare “Delle cause della crisi climatica e delle sue soluzioni. Omettere queste informazioni condanna le persone al senso di impotenza, proprio nel momento storico in cui è ancora possibile costruire un futuro migliore […]”, per una effettiva collaborazione tra scienza e informazione.
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