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Responsabilità editoriale di ASviS
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di Donato Speroni
"Le incognite del futuro sono maggiori di quelle di quando eravamo giovani noi".
Nel suo intervento alla Luiss di Roma, sul tema “Una politica economica a misura dei giovani”, il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco ha mostrato piena consapevolezza delle difficoltà che le nuove generazioni devono affrontare e ha esortato ad acquisire pensiero critico e nuove competenze. Prepararsi al futuro è una grande sfida e non a caso, tra le proposte del decalogo presentato dall’ASviS alle forze politiche e discusso nell’incontro di lunedì 12, quella relativa alla creazione di un istituto per il futuro ha avuto grande attenzione.
Che significa studiare il futuro? Stiamo uscendo (speriamo) da una crisi totalmente imprevista, la pandemia, che ha segnato tutto il mondo per oltre due anni. Ne viviamo un’altra, anch’essa imprevista, a causa dell’invasione russa dell’Ucraina, che comunque vada cambierà la geopolitica. Ne incombe un’altra ancora, la crisi climatica, che politici e opinione pubblica faticano ad affrontare nella sua ormai sicura gravità. Ci viene detto che il ghiacciaio antartico Thwaites, grande quanto la Florida, potrebbe sciogliersi rapidamente provocando un aumento dei mari da uno a tre metri e noi non facciamo un plissé. Ma è solo un esempio tra i tanti. Sappiamo che le risorse idriche saranno sempre più preziose (ne abbiamo parlato nel focus di futuranetwork di questa settimana), ma sono oggetto di manovre geopolitiche più che di uno sforzo congiunto per utilizzarle al meglio. Del resto, uno studio di Greenpeace Italia ci dice che l’ambiente è menzionato in poco più del 10% delle dichiarazioni dei leader in campagna elettorale.
Forse siamo diventati più resilienti, pronti (o rassegnati?) a sfide che riteniamo inevitabili, ma non si può dire che siamo sereni. Uno studio appena pubblicato dalla Gallup (Blind Spot: The Global Rise of Unhappiness and How Leaders Missed It) ci parla della “crescita globale della infelicità”. Ma attenzione: l’insieme di “rabbia, stress, tristezza, dolore fisico e preoccupazione”, cioè le componenti dell’infelicità, ha cominciato a crescere nell’insieme dei Paesi indagati fin dal 2011, quindi ben prima della pandemia.
"Per un decennio, l’infelicità è cresciuta in tutto il mondo. Quasi tutti i leader mondiali non l’hanno capito. Perché? Erano concentrati su misure come il Prodotto interno lordo o il tasso di disoccupazione, ma ben pochi erano in grado di fare attenzione a come la gente si sentiva davvero".
La vita però non è uguale per tutti. Su una scala da zero a dieci, dal 2006 al 2021, il 20% che si dichiara più felice ha accresciuto la propria media da 8,3 a 8,9. Il 20% più infelice ha abbassato le proprie valutazioni da 2,5 a 1,2, che è davvero un livello infimo, segnale di un accentuarsi delle disuguaglianze.
Le incertezze sul futuro riguardano la crisi climatica, possibili altre guerre ed eventuali pandemie, ma anche le prospettive del lavoro, la grande transizione che cambia il ruolo delle persone rispetto ai compiti delegati alle macchine. Ben presto, come ho cercato di spiegare in un breve video pubblicato su futuranetwork, l’intelligenza artificiale darà alle macchine la possibilità di risolvere problemi secondo percorsi pressoché incomprensibili per l’homo sapiens, che forse si difenderà diventando lui stesso in parte macchina, cioè un cyborg. Fantascienza? Non proprio. Ci sono fior di libri, fior di esperti, i quali prevedono che questa sfida si giocherà verso la metà di questo secolo, e quindi investirà non le future generazioni, ma l’attuale “Generazione Z”, le ragazze e i ragazzi che quest’anno sono chiamati a votare per la prima volta e che magari non voteranno perché avvertono poco interesse vero per il loro futuro nei programmi dei partiti.
Qualche studioso spinge lo sguardo oltre i prossimi decenni con previsioni più fosche. Nel libro di prossima uscita “Climate: A Lost History” (Bloomsbury, 2023), anticipato dall’ 'Economist', lo storico Peter Frankopan, che non è l’ultimo venuto perché insegna Global History a Oxford, ci parla addirittura del 3022: guarda cioè in una prospettiva millenaria agli effetti del cambiamento climatico, per paragonare quello che potrebbe accadere alle nostre città ai resti di Tikal in Guatemala o di Angkor in Cambogia, cadute in rovina per altri cambiamenti climatici. In realtà il 3022 è un artificio retorico perché Frankopan guarda al nostro secolo, considerandolo un punto di svolta per il futuro dell’umanità. Per il clima, la possibilità di guerre nucleari, pandemie inarrestabili. Con prospettive ben diverse da quelle dei cosiddetti “tecnottimisti”. Così conclude l’articolo dell’'Economist':
"Chi tra i nostri discendenti riuscirà a superare i rischi climatici e biologici si troverà a vivere in un mondo completamente diverso, nel quale l’intelligenza artificiale, il machine learning, le auto volanti, le basi su Marte, i bambini potenziati geneticamente e altri prodotti della fantascienza saranno meno interessanti e importanti rispetto alle questioni essenziali della sopravvivenza. Non sappiamo quanti di noi assisteranno a questa evoluzione, ma al passo al quale stiamo andando, il mondo potrebbe diventare così quieto come Tikal o Angkor. Ma senza turisti."
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