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Responsabilità editoriale di ASviS

Ogni settimana quattro attivisti per l'ambiente vengono uccisi: è record nel 2019

Secondo la no profit Global Witness in un anno 212 le vittime cadute per difendere le risorse naturali dallo sfruttamento fuori controllo.

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Sebbene siano le popolazioni che meno hanno contribuito alla crisi climatica e alla distruzione degli ecosistemi, sono quelle che ne pagano il prezzo più alto, non solo in termini di benessere e salute.

Si contano infatti nel mondo almeno 212 omicidi di ambientalisti e attivisti in difesa di terre e risorse naturali: più di quattro vittime ogni settimana, si tratta di stime al ribasso, che consegnano al 2019 un nuovo triste record.

Defending tomorrow è l'ultimo rapporto di Global Witness, l'organizzazione internazionale no profit basata a Londra, attiva dal 1993, tra le prime a indagare sul legame tra controllo delle risorse naturali, conflitti e corruzione.

I dati raccolti dall'organizzazione evidenziano come i Paesi in testa alla classifica siano la Colombia e le Filippine, dove si registrano oltre la metà delle uccisioni (rispettivamente 64 e 43 vittime), mentre su scala planetaria i soggetti più colpiti sono state le popolazioni indigene, rappresentando il 40% del totale. Tra il 2015 e il 2019 oltre un terzo di questi assassinii ha infatti riguardato le comunità locali, nonostante queste costituiscano solo il 5% della popolazione mondiale. E sono proprio queste minoranze, più povere e vulnerabili, a rischiare maggiormente di essere investite dalle catastrofiche conseguenze di cicloni, alluvioni, innalzamento dei mari e siccità, fenomeni estremi spesso riconducibili al cambiamento climatico.

L'America Latina resta il continente più colpito dalla lenta strage fin dall'inizio della raccolta di queste statistiche, nel 2012, e solo nella regione amazzonica sono stati uccisi 33 attivisti.

L'Europa di contro risulta l'area meno pericolosa in questo senso e le uniche due vittime registrate erano di nazionalità rumena. La Romania è considerata il cuore verde d'Europa perché è qui che si trova oltre la metà delle foreste vergini, con una superficie di almeno due milioni di ettari ricoperta da faggi. Ogni ora, denuncia Greenpeace Romania, tre ettari di questo sterminato patrimonio arboreo vengono devastati ogni a causa del disboscamento perlopiù illegale, per un giro di affari di un miliardo di euro l'anno. Secondo il sindacato forestale rumeno, di recente altri quattro guardiaparchi sono stati freddati a causa della loro attività di contrasto alla eco-criminalità e ben 650 sono state le intimidazioni di vario genere rivolte al corpo forestale, dalle aggressioni fisiche, alle minacce di morte, alla distruzione di beni e proprietà.

Con sette attivisti uccisi in Africa si potrebbe pensare a una situazione meno grave rispetto ad Asia e Sudamerica. Al contrario però questo numero è da ascriversi fondamentalmente alla difficoltà di monitorare e ottenere dati a causa della censura sui mezzi di informazione, i conflitti e l'instabilità politica. Global Witness sottolinea dunque come in alcuni Stati africani questi dati siano molto probabilmente parziali.

L'ambito in cui si assiste al maggior numero di delitti legati alla protezione dell'ambiente è l'estrazione mineraria, con 50 attivisti che hanno perso la vita, di cui oltre la metà in Sudamerica. Il singolo Paese dove più ha pesato il fenomeno sono state le Filippine, con 16 morti. Un drammatico primato dell'Asia è anche quello degli attacchi connessi al settore agroindustriale, l'85% del totale, di cui il 90% ancora nelle Filippine.

È online l'appello di Global Witness per “proteggere i difensori della Terra e dell'ambiente, amplificare la loro voce” e contrastare l'operato di aziende irresponsabili, legate a questi crimini.

Scarica il Rapporto Defending tomorrow

 

di Elis Viettone

Responsabilità editoriale e i contenuti sono a cura di ASviS


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